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Pur ambientandolo ai giorni nostri, scelta ottimale che ne aumenta l’effetto straniante, sintetizzatori e ritmi ballabili grondano inesauribili mentre una ricerca di luci e colori scaraventa il film in una forte psichedelica di rossi e viola che innalzano la sua natura anni Ottanta: è una scelta furba, è l’ennesima moda nascente, come prima il survival e l’home invasion, alla quale un autore sprovvisto di qualunque personalità può appoggiarsi senza tanto far insospettire, ma alzo le mani e porgo rispetto se ne nasce un lavoro così efficace, roboante e delizioso.Scremando gli aspetti che lo compongono, The Guest è più che altro possibile proprio grazie a questo approccio vintage che lo fortifica ogni qualvolta Simon Barrett, sceneggiatore di fiducia (che scopro aver scritto il bellissimo Red Sands, ma pensa te), o lo stesso Wingard tendono a un’esagerazione che potrebbe scardinarlo dai binari, ma la bontà psicologica dei personaggi, la leggerezza delle situazioni e il ricorrere a salti e conflitti a fuoco fuori dal comune non priva questo slasher inverso di quel minimo di aderenza realistica per sorreggerlo, bensì lo gasa, ne enfatizza gli elementi principali.La semplicità caratteriale dei componenti della famiglia Peterson è esempio perfetto e in qualche modo scioccante di come bastino davvero pochi tratti per costruire ruoli estremamente funzionali. Luke è un loser e a scuola è picchiato dai bulli, Anna fa la cameriera e il suo fidanzato è un fattone che non piace ai genitori, Laura e Spencer litigano di continuo per il futuro dei figli: ci sono indicazioni basilari, semplicistiche e da cui ha attinto una decade intera di film horror, ma ripresentarle nel 2014 funziona perché si tratta di personaggi genuini, non ci sono profondità maestose, riflessioni interiori o momenti di dialogo sinuoso, c’è solo del buon mestiere nel mostrare delle figure per quello che sono, schiette, autentiche, indubbiamente necessarie per alimentare il motore narrativo ma fortemente prive dello squilibrio e della piattezza che impera nel popolarismo cinematografico odierno.
E con queste garanzie non ci sono problemi nell’accettare un personaggio impossibile e fuori dal tempo come David, lo si accoglie nello stesso modo in cui fa la famiglia Peterson quando si presenta a casa loro e dice di essere un soldato appena congedato, nonché il miglior amico del loro figlio morto in guerra. David è un personaggio straordinario, Dan Stevens gli dà sorriso, sguardo e parlata calma di un carisma spesso inarrivabile, è chiaro come sia lui a smuovere il film, a farlo accelerare o rallentare a seconda delle sue enigmatiche intenzioni, in fondo è sin da subito amico di tutti, spalla fidata e nemico da temere, e Wingard è addirittura in grado, accompagnato da un perfetto score che alza i volumi in momenti significativi di gran prestigio, di conferirgli alcuni istanti di puro mostrato dove i dubbi, per quanto già evidenti, saltano in aria con un tocco di weird tanto nostalgico quanto magistrale (quella prima scena sul letto è da antologia). Poi ci sono mazzate, pugni sul muso, pugnalate, proiettili nel cranio e sparatorie assurde, oltre ovviamente a una valanga di cadaveri come vuole la tradizione slasher: tutto funziona con calcolo matematico tra ritmi sincopati e gocce di sangue versate in perfetta e attenta quantità, c’è un controllo che pare superiore alla media o, più che altro, è così superiore al passato curriculum di Wingard da faticare a crederci, eppure è sempre e solo il carisma di David a straripare e a comprimere e a deformare un b-movie di inspiegabile bellezza fatto da una coppia di inspiegabili autori.
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