Magazine Avventura / Azione
"In a hole in the ground there lived a hobbit. Not a nasty, dirty, wet hole, filled with the ends of worms and an oozy smell, nor yet a dry, bare, sandy hole with nothing in it to sit down on or to eat: it was a hobbit-hole, and that means comfort."
In un lontano inverno di circa 10 anni fa i Tolkeniani di tutto il mondo affilavano asce e spade per accogliere la trasposizione del Signore degli Anelli filmata da Peter Jackson, ansiosi di sapere se la sacra opera del Professore fosse stata tradita o rispettata dal regista neozelandese: i puristi non saranno forse rimasti del tutto soddisfatti, ma nessuno oserebbe contestare il posto d'onore che la grandiosa trilogia cinematografica ha conquistato nella storia del Cinema, oltre che nel cuore dei tanti fan che si sono innamorati della complessa mitologia della Terra di Mezzo.
Eccoci allora di nuovo qui, carichi di speranza e aspettative, pronti a metterci nelle mani di Peter Jackson e a partire verso un'altra avventura insieme a Bilbo Baggins, zio di Frodo che fra mille misteri si era congedato poco dopo l'inizio della Compagnia dell'Anello, per ripercorrere all'indietro le tappe di un viaggio del tutto inedito per il giovane hobbit ma che per noi ha il benvenuto e piacevole sapore della rinascita.
Scritto prima che il mondo fantastico creato da Tolkien acquistasse la sua forma definitiva e concepito come un libro per ragazzi, "The Hobbit, or there and back again" non sembrava possedere la stessa forza narrativa del suo successore "The Lord of The Rings", né giustificare l'azzardosa scelta della produzione di ricavare una vera e propria trilogia dalle sue umili 340 pagine: l'opportunità di cavalcare il più possibile l'onda lunga del successo era troppo ghiotta per non essere sfruttata, ma la sceneggiatura firmata dal regista insieme a Fran Walsh e Philippa Boyens riesce per fortuna a mettere a segno un primo capitolo emozionante senza farci mai avvertire il vuoto dell'incompiuto, determinato a vestire gli abiti di un prequel fresco e leggero ma non per questo meno spettacolare ed ambizioso.
Adattando abbastanza fedelmente le prime 130 pagine del libro attingendo anche al resto della produzione dell'autore e alla pura e semplice fantasia, con "The Hobbit: An Unexpected Journey" Jackson porta sullo schermo una storia che chiede di vivere di vita propria ma che non dimentica lo strettissimo legame con la grande Epopea che la Trilogia dell'Anello ha regalato agli anni '00.
"I often think of Bag End. I miss my books, and my arm chair, and my garden. See, that's where I belong; that's home, and that's why I came cause you don't have one.. a home. It was taken from you, but I will help you take it back if I can."
La dimensione più giocosa e infantile del racconto, in una divertente prima parte che dall'introduzione dei numerosissimi nani a Casa Baggins prosegue fino all'incontro coi goffi Uomini Neri e il "potteriano" Stregone Radagast, all'inizio sembra quasi stridere con il respiro epico e tragico della nobile impresa al centro della narrazione, ma saldamente aggrappati alla potente cornice della Terra di Mezzo i due universi finiscono però per fondersi e comprendersi dando al film l'opportunità di superare ogni incertezza e poter finalmente ingranare. Questa Compagnia è rozza e chiassosa e i suoi membri non possiedono la grazia di Legolas né la prontezza di Aragorn e Boromir, ma basta osservarli mentre onorano la patria perduta con un canto solenne vicino al fuoco per capire che anche loro meritano di fare la loro parte nella Leggenda.
Lo schema tracciato da The Fellowship of The Ring è stato seguito con attenzione soprattutto in sede di montaggio( le scene seguenti alla partenza da Gran Burrone sono state pedissequamente riprese), eppure quello che potrebbe sembrare un ruffiano tentativo di catturare i fan si trasforma in brivido irresistibile quando le tante citazioni che strizzano l'occhio al passato vengono incoraggiate dal tema musicale del sempre immenso Howard Shore.
Il ponte fra le due Trilogie viene comunque costruito con facilità grazie al doppio prologo di Ian Holm, tornato a interpretare nelle poche scene iniziali a lui riservate un ambiguo e anziano Bilbo ormai alle soglie del suo centoundicesimo compleanno: a lui il compito di narrarci della caduta di Elebor, prospera roccaforte del Regno dei Nani schiacciata dalla furia del Drago Smaug e le gesta del nobile Thorin Scudodiquercia, lo sfortunato principe deciso a riprendersi la fortezza che nello sguardo triste e fiero dell'inglese Richard Armitage raccoglie l'eredità di Aragorn senza alcuna esitazione e con una consapevolezza che il futuro Re di Gondor acquisirà solo dopo aver superato numerosi dubbi e tribolazioni.
"Home is now behind you, the world is ahead”
è proprio la missione di Thorin ad allontanare il pacifico Bilbo dal suo delizioso buco Hobbit e da una vita priva di imprevisti: se il lungo cammino di Frodo( presente per l'occasione in un piccolo cameo di Elijah Wood) era stato segnato da un destino beffardo e da un fardello sopportato con rassegnazione, quello di Bilbo segue piuttosto la voce di un desiderio di scoperta che una volta risvegliata difficilmente può essere messa a tacere e che spinge l'uomo della strada, ancora capace di salvare un pizzico di genuina incoscienza dalla monotonia del quotidiano, a saltare la staccionata per correre incontro all'ignoto.
Interpretato dall'eccellente Martin Freeman ( già impeccabile John Watson nella pluripremiata serie della BBC Sherlock) Bilbo è il compagno di viaggio che non avremmo mai sperato di trovare: alla vista di Gran Burrone il suo sguardo si riempie di meraviglia come il nostro, facendoci sentire improvvisamente come piccoli hobbit avvolti e stupiti dai misteri di una Terra che attende solo di essere esplorata.
"Riddles in the dark"
La meta è ancora lontana e la via densa di pericoli, ma anche se spesso sottovalutato e all'inizio quasi schiacciato dalle ingombranti personalità dei nani il nostro protagonista riesce comunque a emergere dall'oscurità e a cambiare il corso degli eventi, affrontando nella caverna di Gollum una sfida dalle devastanti conseguenze che grazie anche allo straordinario lavoro di Andy Serkis si candida di diritto a diventare la scena assoluta e il vero cuore del film.
Oltre a Freeman, Armitage e Serkis, senza dubbio i migliori della Compagnia, la Scuola Britannica continua a far da padrona grazie al sempre ottimo Ian McKellen( un Gandalf doppiato dignitosamente da Gigi Proietti), Christopher Lee( lo Stregone Saruman forse ancora lontano dall'essere in combutta col nemico), lo storico interprete della serie della BBC Doctor Who Sylvester MCoy( Radagast), Ken Stott (Bali), James Nesbitt(Bofur) e Aidan Turner(Kili), conosciuto soprattutto per la versione UK del serial Being Uman; a restare impressa in modo indelebile nella memoria è però l'abbagliante visione di Cate Blanchett, solare e bellissima Dama Galadriel.
L'eterna questione dell'uso della terza dimensione, costosa e inutile piaga per alcuni e benedizione visiva per altri, merita stavolta maggiori riflessioni: concepito e girato in HFR(48 fotogrammi al secondo invece dei canonici 24) Lo Hobbit propone allo spettatore un immersione totale e profondità inedite, oltre ad una fotografia in cui i colori brillanti vengono esaltati dal 3D grazie a una definizione talmente elevata da sfiorare la resa documentaristica.
Come ogni innovazione tecnologica che si rispetti la scelta di Jackson non ha mancato di generare perplessità, ma ferma restando una percezione del tutto personale dell'immagine chi si concederà qualche minuto per superare lo straniamento iniziale verrà lautamente ricompensato: la barriera fra noi e le montagne mozzafiato della Nuova Zelanda scompare definitivamente mentre restiamo coinvolti nella maestosa battaglia fra i giganti di pietra, sprofondiamo nelle infinite gallerie della montagna in balia di una vertigine che l'inafferrabile camera di Jackson incoraggia giocosamente o ci stringiamo ben stretti alla nostra aquila guida pronti a volare alto.
L'occhio dell'avido Drago Smaug(che avrà voce e lineamenti dello Sherlock della BBC Benedict Cumberbatch) è già puntato su di noi, ma in attesa di vedere come proseguirà il viaggio nei due prossimi capitoli possiamo tuttavia già dirci soddisfatti e ringraziare Peter Jackson: dopo anni passati a peregrinare senza meta abbiamo fatto finalmente ritorno nella Terra di Mezzo e ci siamo sentiti di nuovo a casa, come se non ce ne fossimo mai andati.
Ps: Peter, io lo capisco che devi fare l'edizione estesa e costringermi ad aspettare per il DVD più del dovuto, ma come hai potuto mettermi nel trailer un fotogramma così evocativo e poi tagliarlo dal montaggio finale?
Dico, la prossima volta magari taglialo a priori, così resto nell'ignoranza e non rimango col cuore spezzato, Grazie.
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