Il giudizio di Antonio Valerio SperaSummary:
Un gangster movie che strizza l’occhio a tanto cinema di genere del passato. The Iceman dell’isrealiano Ariel Vromen, presentato alla Mostra di Venezia nel 2012 ed ora finalmente nelle sale, è un prodotto che nel complesso sa di già visto, ma che al contempo non si può non ritenere godibile, ben confezionato e interessante in alcuni suoi spunti. Tratto dal libro di Anthony Bruno The Iceman: The True Story of a Cold-blooded Killer, il film racconta la storia vera di Richard Kuklinski, che tra gli anni ’50 e gli anni ’80 è stato uno dei più spietati killer della mafia newyorkese. Avvolto in un’atmosfera quasi vintage, caratterizzata da una fotografia chiaroscurale che sembra richiamare appunto capolavori passati del genere, The Iceman è il classico film che segue lo schema “ascesa e caduta di un gangster” e che appare imperniato su una struttura narrativa piuttosto lineare, che segue passo passo la vita del protagonista.
Accattivante è la scelta di Vromen di sdoppiare il suo sguardo sulla vita criminale e quella privata di Kuklinski, personaggio osservato dunque nella sua fredda violenza e nella sua dolcezza familiare. E’ in questo contrasto che risiede l’aspetto più intrigante della pellicola, ma forse in esso è rintracciabile anche il suo punto debole. Se infatti da una parte il continuo spostamento dal sangue e dall’efferatezza all’amore per la moglie e le figlie va a rimarcare la natura inquietante del protagonista, la sua dimensione “maligna”, dall’altra l’autore lascia il ritratto di quest’inquietudine assolutamente in superficie. Il regista non azzarda un’indagine psicologica, non si immerge nelle ragioni del Male, e lascia così Kuklinski ingabbiato in una rappresentazione bidimensionale.
Questa pecca sicuramente non ci consente di inscrivere The Iceman nell’albo dei migliori gangster movie, ma ai fini dello spettacolo non va ad inficiare più di tanto. Merito di una sceneggiatura senza grandi sbavature e di una messa in scena solida che fanno scorrere piacevolmente il racconto, e soprattutto di uno straordinario Michael Shannon, sulle cui spalle si regge l’intero film. L’attore americano, sempre a suo agio in ruoli sopra le righe, disturbati e disturbanti, esagerati e folli, primeggia sul resto del cast – comunque buone le performance di Winona Ryder e Ray Liotta – e riesce in modo impressionante a rendere le diverse sfumature del personaggio attraverso l’impassibilità del suo volto. Un’interpretazione intensa e notevole che rende Kuklinski un antieroe con cui entrare in empatia. E, almeno in questo, il film colpisce pienamente il bersaglio.
A cura di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net