Mohammed Assaf è il giovane cantante partito dalla Striscia di Gaza per andare a vincere la seconda edizione di Arab Idol: una fuga da un territorio perennemente in guerra che ha trovato pace nella voce del suo giovane rappresentante
La Striscia di Gaza, il territorio confinante con l'Egitto che da anni viene conteso da Palestina e Israele, è protagonista di una tra le più interessanti e allo stesso tempo complesse storie politiche e militari che coinvolgono il nostro intero pianeta. Una vicenda che anni rappresenta motivo di guerre, lotte, interventi dell'Onu e schieramenti dall'uno e dall'altro lato, a favore dell'indipendenza di Gaza o a favore dello Stato di Palestina, che attraverso l'organizzazione Hamas ne controlla il governo e l'amministrazione. Se da fuori può risultare, a noi che non viviamo quotidianamente il disagio degli abitanti, interessante e affascinante approfondire la storia politica e militare della Striscia, chi vive a Gaza e dintorni non può essere felice di essere protagonista di tale vicenda. Sullo scenario della miseria, della tristezza, di corpi mutilati dai bombardamenti, dell'uomo disgraziato e malmenato dalla natura, si sviluppa la speranza, che va a infilarsi tra i cunicoli della città in cerca di una voce salvifica: quella di Mohammed Assaf, la cui storia è raccontata nel biopic The Idol.
LA FORZA DI GAZA
Seguendo pedissequamente, ma con qualche libertà narrativa che possa rimpinguare la sofferenza del giovane Mohammed, la pellicola ci racconta le origini del cantante che andò a vincere la seconda edizione di Arab Idol, affrontando quelle che erano tutte le angherie del posto, dall'impossibilità di uscire da Gaza fino all'ostruzionismo dei suoi amici, tra cui Omar, integralista e fedelmente servitore della parola di Allah. Uscire dalla Striscia, infatti, così come d'altronde entrare, è un vezzo che in pochi possono permettersi, a meno che non si sia in possesso di un visto straordinario, concesso soltanto dinanzi a cause gravissime di salute: un modo, da bambino, Mohammed l'aveva trovato, attraversando i cunicoli che collegano Gaza all'Egitto, illegali e molto pericolosi, ma pur di racimolare soldi per donare un rene a sua sorella, nel film morente per un'insufficienza renale, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Anche rischiare la morte. Mosso quindi dal messaggio che la sorella le inculcava da bambino e dal desiderio che qualsiasi prigioniero ha di evadere, Mohammed si fa strada nella disgrazia e nella povertà, supportato dai genitori e da chi gli sta intorno, a partire dal suo maestro di canto, che pro bono decide di aiutarlo a perfezionare la sua arte e preparare anche un improbabile provino in diretta Skype per presentarsi a un concorso a Il Cairo.
Tutte le approssimazioni cui sono costretti gli interpreti del film sono raccontate con minuzia, sottolineando la difficoltà che gli abitanti di Gaza riscontrano, oggigiorno, nel vivere al passo con i tempi, là dove anche una semplice videochiamata diventa impossibile per assenza di elettricità, staccata per ordine di Israele. Così come, d'altronde, la stessa città di Mohammed consegna un senso di vuoto, di tristezza, di vacuo, raccontato con pienezza e con grande forza, roboante nella testa e nel cuore di tutti gli spettatori, costretti a confrontarsi con l'immensità di un giovane cantante che emerge dai detriti del suo paese e infonde speranza a tutto il suo popolo.
COME DIVENTARE UN IDOLO
L'arrivo ad Arab Idol, il percorso, raccontato rapidamente, fino alla finale è il motivo che spinge tutta Gaza a riunirsi in piazza, uniti dalla stessa bandiera, non più quella dell'indipendenza, della guerra sanguinolenta che coinvolge la Striscia, ancora alla ricerca di libertà da Hamas e dalla Palestina, ma quella di un giovane cantante, che rappresenta il popolo in tutta l'Arabia. Tutti questi momenti sono raccontati con il forte pathos della libertà, trasmettendo quello che è l'urlo di gioia, fino a quel momento soffocato da tanta tristezza e distruzione: Mohammed, prima di affrontare la dogana che lo separata dall'Egitto, guarda con mestizia un suo concittadino che si trascina per strada privo oramai degli arti inferiori, vede con gli occhi la miseria, la tocca, nel film, quando sua sorella muore giovanissima, quando ancora cullavano il sogno di diventare famosi, insieme, dai concerti ai matrimoni, durante i quali sua sorella doveva essere nascosta perché donna, al teatro de Il Cairo. Hany Abu-Assad, regista palestinese, non se ne lascia sfuggire nemmeno uno di questi momenti, non smette mai di incalzare nella tristezza, di far sì che la miseria si palesi dinanzi gli occhi dello spettatore, perché così come Gaza non ha concesso tregua al suo popolo, così il regista non permette che ve ne sia per chi è in sala ad assistere a questa storia. L'unico barlume è rappresentato da quella voce, che superando ogni ostacolo, vincendo ogni contrasto arriva ad Arab Idol, vince e ridà vita al suo popolo, che per un attimo si dimentica della guerra. È la dimostrazione di come una dissolvenza incrociata che porta Tawfeek Barhom, l'attore protagonista, a cedere il passo alle vere immagini di Mohammed Assaf, non sia altro che una trasposizione della realtà dei fatti: un fenomeno pop che si dissolve e diventa magicamente un momento di trionfo collettivo, di pace e di celebrazione.
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