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“Are you paying attention? Good. If you’re not listening carefully, you will miss things. Important things. I will not pause, I will not repeat myself, and you will not interrupt me. You think that because you’re sitting where you are and I am sitting where I am, that you are in control of what is about to happen. You are mistaken. I am in control. Because I know things that you do not know. What I need from you now is a commitment. You will listen closely and you will not judge me until I am finished. If you cannot commit to this, then please leave the room. But if you choose to stay, remember that you chose to be here. What happens from this moment forward is not my responsibility. It’s yours. Pay attention.”
Osannato da alcuni e bistrattato da altri, il biopic risponde a regole ben precise: per raccontare la vita di una personalità eminente è necessario focalizzare con attenzione il periodo storico in cui questa si è trovata suo malgrado a combattere e respirare, spingere sulle grandi imprese che nel bene e nel male hanno consegnato il suo nome alla clemenza dei posteri e usare bene il tempo a disposizione, non accontentandosi di una mera esposizione degli eventi accaduti ma impegnandosi a ritrovare l'essere umano che la leggenda ha contribuito a nascondere sotto polvere e incensi.
Poter contare su un grande protagonista è importante quanto la storia che ci si appresta a raccontare: senza il carisma di un interprete in grado di specchiarsi nello sguardo e nella sensibilità del suo personaggio, l'operazione conserverebbe il merito di aver dato visibilità a una pagina di storia più o meno conosciuta, ma sprecherebbe l'assai più preziosa opportunità di conoscere da vicino gli uomini e le donne che tanto hanno sofferto e sacrificato perchè potessimo avere un passato e un futuro.
Nel raccontare la storia di Alan Turing, il genio matematico che salvò 14 milioni di persone decifrando il codice Enigma e ricevette come ringraziamento una barbarica condanna per la sua omosessualità, The Imitation Game onora pienamente il genere grazie a un Benedict Cumberbatch in grande spolvero e a un'ossatura costruita su schemi opportunamente rodati, per avvicinarsi il più possibile al pubblico e guidarlo con mano sicura verso un messaggio di maggiore complessità e sottigliezza.
Un antieroe incompreso in lotta contro un governo ottuso, una squadra di collaboratori all'inizio reticente e poi ben disposta a offrire il proprio sostegno, un generale della vecchia scuola incapace di riconoscere le sfide di una Guerra moderna e un uomo della strada, a cui affidare il racconto della verità perché tutti possano davvero avere i mezzi per giudicare: la sceneggiatura di Graham Moore schiera ogni pedina con precisione calcolata, in un dramma bellico sui generis che chiama i matematici a difendere la Nazione e trova nelle macchine di decodificazione sono gli unici carri armati in grado di sbaragliare definitivamente il nemico; chiuso da un commovente abbraccio collettivo che fa dimenticare incomunicabilità e incomprensioni, il momento della grande rivelazione sembra quasi un omaggio a A Beautiful Mind, con la bella ragazza del bar a rivelare inconsapevolmente la soluzione del problema.
“Of course machines can’t think as people do. A machine is different from a person. Hence, they think differently. The interesting question is, just because something thinks differently from you, does that mean it’s not thinking? We allow for humans to have such divergences from one another. You like strawberries, I hate ice-skating. You cry at sad films, I’m allergic to pollen. What is the point of different tastes, different preferences, if not to say that our brains work differently, that we think differently? And if we can say that about one another, why can’t we say the same for brains made of copper and wire and steel?”
I segreti che custodisce The Imitation Game sono però ben altri: la giovinezza, la Guerra e la caccia alle streghe contro gli omosessuali di cui Turing fu vittima eccellente si intrecciano e si alternano lungo 3 differenti linee temporali, assolvendo alla missione primaria di riscoprire e riabilitare la figura del matematico e mostrando le falle di un'umanità che non può vivere senza menzogna e dissimulazione: che si tratti di apparire simpatici e affabili o di alleviare la pena di una persona cara, ogni comportamento rilegge le persone attraverso un codice ostico che taglia fuori con facile freddezza tutti quelli che non siano in grado di decifrarlo e applicarlo prontamente; lo stigma della diversità deve essere epurato e corretto, come se gli uomini fossero macchine difettose da riprogrammare all'occorrenza per risultare conformi agli standard consentiti, vanificando il gioco dell'imitazione e rendendolo incapace di distinguere fra un'intelligenza artificiale e un essere fatto di carne e sangue.
Contestualizzare il corto circuito del sistema rende l'accusa ancora più infamante, contro una Nazione che reduce dalla tragedia del Secondo Conflitto Mondiale e ben lontana dalla rivoluzione dei sixties continua a imporre la sua etica di rispettabilità, nascondendo la polvere sotto il tappeto e ricacciando indietro le lacrime dei suoi figli.
“Do you know why people like violence? It is because it feels good. Humans find violence deeply satisfying. But remove the satisfaction and the act becomes hollow.”
Maledizione e benedizione, il multiforme self control britannico racconta però anche la storia di un popolo fiero e ostinato, mai disposto a lasciarsi sopraffare e deciso ad affrontare anche la più dolorosa delle sfide con dignità e contegno: una sensibilità che lavora con grazia in sottrazione, trovando tutti i colori della sofferenza in uno sguardo smarrito e in una mano tremante e rifiutandosi di concedere il violento spettacolo della fine di un uomo: la forzata deformità del corpo e il morso della mela si negano a riflettori e sguardi indiscreti, mentre una dolce espressione di sollievo segna straziante il momento dell'addio.
La prova regalaci da Benedict Cumberbatch, probabilmente l'unico Alan Turing possibile di questa decade(il dubbio su come Leonardo Di Caprio - prima scelta della produzione - avrebbe potuto accostarsi al personaggio continuerà a tormentarci a lungo), è di quelle che non si dimenticano: un'articolata mappatura di fragilità e arroganza, timidezza e nervosa frustrazione, nella lenta agonia di una solitudine che si lancia in un ultimo disperato grido d'aiuto prima di cedere alla stanchezza; ci lacrime amarissime, ma anche tanti delicati sorrisi, per la tenera goffaggine di un uomo che vorremmo poter rassicurare ed abbracciare.
Gli altri membri del cast giocano purtroppo in seconda linea, ma abbracciano i rispettivi ruoli nel miglior modo possibile: nei panni di una posata ma alquanto ambiziosa ragazza inglese, Keira Knightley ritrova finalmente il garbo e la freschezza di Elizabeth Bennet; mentre la prova del giovane Turing Alex Lawther è essenziale tanto quanto quella di Cumberbatch.
Anche se la classicità del registro del racconto non lascia spazi di ribellione e la regia appare per lo più trattenuta e asservita al progresso degli eventi, The Imitation Game raggiunge comunque gli obiettivi previsti, offrendo all'enigma di Turing una soluzione commovente e affascinante e dimostrandoci ancora una volta che i confini dell'esperienza cinematografica restano anarchicamente indefinibili; alzarsi dalla poltrona portando via con sè il cuore un bel film, illuminato dalle prove dei suoi attori e orgogliosamente consapevole dell'opportunità di fare un miglior servizio alla delicatezza dei temi prescelti non cedendo a facili pietismi, a volte è più che abbastanza: bisogna solo prestare attenzione.
Goldenglobometro/Oscarometro:
Con le sue 8 nomination all'Oscar, The Imitation Game dovrebbe essere uno dei titoli più favoriti della prossima edizione, ma il trattamento ricevuto ai Golden Globes e l'asfissiante concorrenza hanno di fatto vanificato quasi tutte le sue possibilità. Ecco alcune delle candidature:
Miglior film: nessuna probabilità di vincere dato il peso dei concorrenti in gara (contro Boyhood, The Grand Budapest Hotel e Birdman non potrebbe spuntarla nessuno).
Miglio Regia: candidatura assai generosa e di certo non necessaria, ma al film voglio bene uguale, DEAL WITH IT.
Miglior Attore: c'è bisogno di dirlo? Diciamolo lo stesso: checché ne dicano i suoi accaniti detrattori ( pentitevi gente, PENTITEVI) Benedetto è bravissimo, la sua interpretazione e straordinaria e meriterebbe di vincere tutto. Probabilità concrete di conquistare l'Oscar come migliore attore? La recente sconfitta ai Golden Globes(ha vinto Eddie Redmayne, altrettanto bravo e altrettanto degno in The Theory of Everything) ha purtroppo dimostrato come le chance siano effettivamente molto poche, anche se ovviamente fino al 22 febbraio la partita è aperta. GO BENEDICT, YOU DESERVE IT, NO MATTER WHAT.
Miglior attrice non protagonista: Keira mi è piaciuta come non mi piaceva da tempo, ma non ho trovato la sua prova addirittura valevole di una statuetta. In ogni caso è la categoria in cui gareggia Patricia Arquette per Boyhood e invecchiare 12 anni sullo schermo avrà senza dubbio il suo peso (insomma, non c'è altra parte che tenga).
Miglior colonna sonora: so che vi siete legati al dito il fatto che Alexandrino mio è candidato addirittura per due film ( l'altro è The Grand Budapest Hotel) ma il tema di The Imitation Game è una delle melodie più ricche ed emozionanti che abbia avuto il piacere di ascoltare da un bel po' di tempo. Ergo, DEAL WITH IT.
Miglior sceneggiatura non originale: ecco, qui forse c'è qualche possibilità in più, anche se i concorrenti sono quasi tutti eccellenti. Well, LET THE GAMES COMMENCE.
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