Turing, il genio e la sregolatezza
Segreto di Stato per 50 anni, l’apporto scientifico di Alan Turing alla risoluzione della Seconda Guerra Mondiale viene tramutato in immagini da Morten Tyldum. Ma The Imitation Game non è solamente un biopic semplicistico e cronachistico. La pellicola di Tyldum è un intenso gioco di camuffamento sociale e di elevato intelletto. Cumberbatch da Oscar.
Manchester, 1952. Alan Turing, brillante crittografo, viene interrogato dall’agente di polizia dopo aver subito un’intromissione nel suo appartamento. Turing inizia a raccontare la sua storia durante la Seconda Guerra Mondiale: a Bletchley Park, insieme a un gruppo di cervelloni, gli viene chiesto di decriptare il codice Enigma, ideato dai nazisti per comunicare le operazioni militari in forma segreta.
The Imitation Game è un film estremamente intelligente e che ripercorre la storia umana e professionale del matematico Turing. Tuttavia la linearità narrativa che ci si aspetta da un biopic non viene rispettata e questo è decisamente il merito più grande del prodotto diretto da Tyldum. Difatti il regista norvegese costruisce la pellicola attraverso tre momenti temporali distinti (1927, 1939-45 e 1952), che si intrecciano alla perfezione e definiscono in modo perfetto Turing. Matematico e logico, Turing appare allo spettatore come un personaggio arrogante, scostante e affetto da disturbi autistici. Il genio è del tutto indiscusso, ma Turing è il classico cervellone che ha la capacità di accattivare e irritare contemporaneamente il pubblico seduto in sala. E qui viene sicuramente in aiuto la costruzione narrativa a incastro della pellicola, che comincia a far fuoriuscire quel lato fragile, vulnerabile, che aiuta lo spettatore a entrare in contatto con la vicenda, con l’uomo dietro i calcoli, i congegni elettronici e i fili di rame. Perché è proprio questo suo atteggiamento (freddo e calcolatore, quasi fosse una macchina dall’insuperabile e non celata intelligenza) a spaventare di più; l’inflessibile rigore matematico sostituisce il pulsante e vitale cuore. E tutto questo fuoriesce da una pellicola che verrebbe definita mediocre se si limitasse a trattare della risoluzione del codice Enigma (quello che era successo con il deludente Enigma del 2001) e che invece si rivela eccelsa proprio perché lascia emergere il lato umano di un personaggio magnetico e interessante come Turing. L’omosessualità (che trova la sua invitante valvola di sfogo in un finale commovente e realisticamente drammatico) e l’adolescenza di un Turing impacciato sono i perfetti contraltari di una vicenda, che ha permesso alla Gran Bretagna di vincere la guerra e di concluderla un paio di anni prima del previsto.
Contrappuntato da una sublime colonna sonora di Desplat (sbaglierà mai qualcosa questo compositore?) e da una fotografia che predilige i toni del grigio, The Imitation Game è fluido, scorrevole e in grado di schierarsi apertamente contro le pratiche barbare nei confronti degli omosessuali, senza mai ostentare patetismo da quattro soldi. Un prodotto che narra una vicenda avvincente e che utilizza come cifra stilistica il mistero e il camuffamento, veri e propri compagni di vita del matematico britannico.
Uscita al cinema: 1 gennaio 2015
Voto: ****