Ogni anno nella lizza delle pellicole candidate ai più ambiti premi cinematografici c'è il solito film additato come "il ruffiano" creato ad hoc per strizzare l'occhio alle giurie. Quest'anno ad assurgere al ruolo di pecora nera è toccato a "The imitation game", biopic incentrato sulla vita di Alan Turing, uno straordinario crittoanalista a cui l'intera umanità deve molto più di quello che uno possa immaginare anche solo sapendo che stiamo parlando del responsabile della sconfitta nazista nel corso della seconda guerra mondiale. Ci sono palesi motivi che lo spingono ad essere giudicato come un favorito in occasione degli Accademy, ma non capisco come questo possa essere motivo di critica. A me "The imitation game" è piaciuto, sia che sia nato per leccare il deretano dei giudici o meno.
Le biografie romanzate sono un genere che considero un'arma a doppio taglio, perchè adoro guardare un film incentrato su una figura che non conosco, o che conosco appena, perché anche solo la curiosità di sapere qualcosa in più al riguardo tiene viva la mia attenzione, ma d'altro canto, purtroppo, a volte guardando le vite di personaggi di cui conosco già le vicende narrate rimango delusa dagli aspetti che sono stati messi in risalto e da quelli trascurati o, come il più delle volte capita, dalle imprecisioni e dal pressapochismo.
In virtù di questo prediligo biopic su gente a me sconosciuta in modo da avere un'infarinatura generica che in base alla piega del film mi invogli o meno ad approfondire. Grazie al cielo, quindi, io Alan Turing, prima di trascorrere due ore al cinema con lui, non sapevo chi fosse ad eccezione dell'aneddoto della mela al cianuro morsicata per togliersi la vita ispirazione per il logo della Apple che ha voluto, in questo modo, omaggiare il padre dell’informatica. Per chi, come me, non era a conoscenza del suo grande apporto alla storia contemporanea questo film risulta essere una piacevole sorpresa. Certo anche a noi ignari spettatori pare fin da subito chiaro che molti aspetti della narrazione non vengono approfonditi ma, poichè si tratta pur sempre di un'opera volta all'intrattenimento e non alla didattica in senso stretto, direi che ci si possa accontentare dell'asciutta sceneggiatura.
Se da una parte, però, ci si deve "accontentare" di una superficialità narrativa nei confronti di alcune tematiche, d'altro canto plauso va fatto alla sceneggiatura a livello strutturale che coordina e intreccia tre linee temporali in maniera ineccepibile. In questo senso il merito va anche attribuito alla destrezza di montaggio del “non a caso premio Oscar” William Goldenberg, che riesce a rendere tanto omogenei i passaggi tra i vari livelli da costringere lo spettatore a tenere alta l’attenzione per tutta la durata del film per riuscire a distinguerli. Questa miscellanea di tempistiche priva di netti tagli ci permette di avere tra le mani nello stesso momento tre sfaccettature della vita del protagonista contemporaneamente, e di compiere un cammino rivelatorio parallelo che ci accompagna fino all’acme finale in cui le tre rivelazioni si intrecciano al triste epilogo.
L’infanzia, con la scoperta della propria omosessualità e le vessazioni dei compagni di scuola, la guerra, il periodo d’oro per il suo estro geniale che lo porta ad inventare una macchina in grado di trovare la decodifica dei messaggi tedeschi, che avvantaggerà gli Alleati di due anni di guerra portandoli alla vittoria, ma nonostante ciò il suo grande merito deve rimanere segreto per ovvi motivi politici e infine l’ultimo periodo della sua vita, in cui lo stesso governo britannico che gli è debitore lo punirà per omosessualità costringendolo a scegliere tra la prigionia o la castrazione chimica, scegliendo la seconda firmerà la propria condanna a morte perché oberato dall’umiliazione subita deciderà di togliersi la vita.Ciò che mi perplime di questo film è il fatto che il momento di raccordo tra le tre fasi più importanti della vita di questo genio, costretto fin dalla gioventù a vivere nell’ombra, venga delegato alle didascalie epilogative. La scelta registica quindi è quella di farci percorrere solamente i periodi più (tra molte virgolette) “rosei” di Turing evitando la tragedia. A pensarci bene probabilmente è il modo migliore per celebrarne le virtù senza che la scenografica morte distogliesse l’interesse dalla precedente narrazione.In tal senso, quindi, l’intero settore tecnico del film si mette al servizio della storia, a partire dalle musiche di Alexandre Desplate, che grazie alla melodiosa colonna sonora al piano addolcisce l’atmosfera, fino ad arrivare alla calda fotografia che valorizza l’atmosfera bellica dell’Inghilterra, virando sui toni del blu e del grigio per i piccoli frammenti di scene di guerra.Questo concerto tecnico viene diretto da un a me sconosciuto Morten Tyldum, che decide di rendersi invisibile e mettersi esso stesso a favore della narrazione, mantenendo uno stile pulito privo di virtuosismi che si focalizza sulla figura di Alan Turing, mettendo un po’ in ombra i personaggi secondari. Tra questi troviamo una Keira Knightly che fortunatamente non esagera con le sue smorfiette, ma che comunque non spicca al fianco di un empatico Benedict Cumberbatch, interessante, però, è il loro rapporto, un amore meramente intellettuale che incuriosisce e cattura l’attenzione.Nonostante, però, tutto sembri ruotare intorno alla figura del crittoanalista molte sfaccettature del personaggio rimangono comunque oscure anche alla fine del film, lo spettatore ha guardato nel profondo degli occhi di ghiaccio di Turing ma senza comprenderlo appieno, in definitiva si è rivelato esso stesso un enigma vero e proprio che, però, noi non riusciremo mai a decifrare.
Conoscevate le straordinarie imprese di Alan Turing? Vi è piaciuto il film?
Si merita di venir premiato agli Oscar 2015?
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