Se The Imitation Game fosse una canzone per il Festival di Sanremo, sarebbe una canzoncina in perfetto stile sanremese, ariosa, con il ritornello giusto, di quelle che mettono d’accordo tutti. Ecco The Imitation Game è un film giusto giusto per l’Academy, costruito per l’Academy, in pienissimo stile hollywoodiano, un compitino svolto bene, senza infamia e senza lode.
Benedict Cumberbatch mette insieme una bella performance, con poche stonature, senza allontanarsi di mezzo passo dalla classica figurazione di genio disadattato cronico con tanto di scatti autistici, proprio come faceva Russel Crowe in A Beautiful Mind. Una buona prova per un attore bravo ma forse sopravvalutato. Al suo fianco l’ennesima fastidiosa performance di Keira Knightley, muso secco e iperteso che non c’incastra nulla né nel personaggio né nel film. È invece un piacere vedere sul grande schermo il magnetico e sornione Matthew Goode.
Un grosso merito, però, va riconosciuto a The Imitation Game: l’aver saputo spiegare e raccontare la grandezza di un uomo che ha cambiato le sorti di una guerra che pareva infinita e del mondo intero. Perché il mondo di oggi, senza Alan Turing, non esisterebbe così come lo conosciamo.
Insomma, The Imitation Game è una bella confezione, anche se con una carta e un contenuto un po’ vecchiotti. L’ennesimo tassello nel genere biopic (fermo al palo da oltre dieci anni) plasmato ad arte per incassare premi e lasciare Hollywood col cuoricino in pace…
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