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THE IMITATION GAME | Intervista esclusiva ad Alan Turing

Creato il 23 marzo 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

the_imitation-game_alan_turinga cura di Giancarlo Zaffaroni e Carlo Camboni

Dopo una lunga attesa iniziata già per il centenario della nascita, Alan Turing ha finalmente deciso di rilasciare un’intervista esclusiva ad Amedit, con la clausola di tenerne segreti il luogo e le modalità. Rispettando questo suo desiderio pubblichiamo integralmente la nostra conversazione.

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Giustizia è fatta Mr Turing? Un sontuoso film racconta la sua storia rendendo onore al suo lavoro e alla sua figura di uomo solo e tormentato. Che sapore ha il segreto?

Non so di giustizia, il mio tempo è finito, forse anche allora non me ne importò nulla della giustizia. La mia missione poggiava sul desiderio di conoscenza e di soluzione di problemi complessi, direi quasi a qualunque prezzo. Fui fortunato e bravo, centrai pienamente i miei obiettivi anche se pochi capirono, allora e in seguito, la loro reale portata. Guardando il film ho pensato che se fossi stato tedesco, dalla parte dei cattivi, avrei lo stesso costruito la mia macchina. Non mi sono mai sognato di chiamarla Christopher, la chiamavamo “the Bomb”, una bomba davvero intelligente. Il segreto è tale finché non viene rivelato. Ossia, il segreto è il mistero. Una volta svelato si ha un grande potere da gestire con razionalità. Il segreto ha il sapore amaro del potere che io rifuggo in qualunque forma ed espressione.

Oggi Lei sarebbe un’icona: è l’uomo che ha contribuito alla decrittazione dei codici con cui comunicavano i nazisti durante la seconda guerra mondiale determinando così la vittoria degli Alleati e ha ideato le macchine da cui poi sono nati i computer.

Mi sfugge il concetto di icona, cosa c’entro io con un’immagine sacra? Con “oggi” intende che lo sarei se avessi fatto azioni equivalenti nell’attuale contesto storico? Un’idea bizzarra, impossibile da verificare. I vostri computer applicano in piccola misura i concetti della mia macchina universale, sono macchine stupide perché esatte (o almeno così credono i più), mi fece orrore prevedere la piega tutta muscoli che la ricerca sui computer prese soprattutto negli Stati Uniti. Le vostre macchine super potenti vi servono così a poco, a inondare il mondo d’informazioni inutili, di pornografia e giochi d’azzardo, incluso il trading in borsa. Mi ritrassi da quell’orrore, non volli esserne parte, non ne voglio sapere più nulla, le macchine non sostituiscono il pensiero.

Genio ed eroe, troppe qualità per un uomo solo. Qualcuno doveva per forza castrare chimicamente il suo fisico e la sua mente per il buon nome della Patria e dei servizi segreti, no? Gli omosessuali non sono mai degni di essere eroi.

Credo che la mia omosessualità fosse nota alle autorità, che opportunisticamente la dimenticarono durante la guerra. La segretezza postbellica delle attività di Bletchley Park era una garanzia di sicurezza personale per chi vi partecipò. Non voglio rappresentare una categoria, anche se capisco che le minoranze dovrebbero avere maggiori diritti. Non credo che la castrazione chimica sia stata una punizione all’eroe negato, la fama mi avrebbe distrutto altrettanto. Ancora non capisco se fu solo la mia ingenua onestà che mi portò alla condanna, ingenuità mia e delle autorità, o forse solo una burocrazia stupida. Del resto non avrei mai rotto il segreto, usato le mie scoperte per difendermi.

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L’uso di flashback restituisce l’idealità del suo amore per Christopher, un amore casto e totalizzante che l’ha segnata per sempre.

Mi sono visto tanto piccolo nel bravo attore che mi interpreta adolescente [Alex Lawther, ndr], in realtà avevo diciotto anni quando Chris morì. Il suo esempio m’insegnò la determinazione e la speranza nei risultati positivi, anche una certa concretezza. C’erano momenti in cui sentivo in modo molto forte la sua personalità, come una sera che mi stava aspettando sulla porta del laboratorio; quando arrivai prese con la sua grossa mano la mia e mi portò fuori a vedere le stelle. Sì, fu un amore unilaterale e casto, insuperabile.

Mr Turing estrae una mela rossa non si sa da dove e inizia a canticchiare “I’m wishing, I’m wishing for the one I love…”. Per un po’ si fa silenzio.

Restituire la sua complessità, il suo essere sfuggente e penetrante, logico e folle e il tutto per la breve durata di un film non è un lavoro semplice. Credo che Benedict Cumberbatch abbia del genio nel suo sguardo, pare animato da una forza straordinaria che gli permette di catturare la sua essenza.

È molto bello e bravo, in genere vestito molto meglio di me. Ammiro lo sforzo sincero della rappresentazione intelligente. È davvero incredibile vedersi in qualche modo dall’esterno, nella finzione dell’imitazione. Avrei voluto giocare con lui al mio gioco per decidere se lui potesse essere me. Ma io avrei dovuto essere fuori di me per giudicare se la mia rappresentazione potesse essere credibile, nessuno è peggior giudice di se stesso, riguardo alla propria apparenza.

La sua collega, la matematica Joan Clarke, è una creatura che ho amato molto, una femminista ante litteram, una donna indifferente alle appartenenze per nascita e alle convenzioni, disposta a tutto per la sua realizzazione. Il mondo femminile gioca un ruolo piccolissimo nel film come nella sua vita, eppure è di importanza decisiva.

Joan fu la persona che mi capì di più al mondo, avevamo interessi e modo di pensare affini, una fortuna insperata. E la libertà del nostro affetto dalla sessualità permise questa intesa intellettuale pura. Fui molto preoccupato che soffrisse, si legasse troppo rinunciando alla sua vita. Non voglio spiegare – se mai lo so davvero – come infine rompemmo il nostro fidanzamento. L’altra figura femminile decisiva è, naturalmente, mia madre, della quale però non voglio parlare, leggete le mie biografie.

Il film parla di segreti e di accettazione. Può il leopardo cambiare le sue macchie? Accettarsi e rinnegare i segreti dandosi alla macchia come nel finale di “Maurice” o, prestare il proprio impegno per cause civili sulla falsariga di “Milk”. Quale opzione, col senno di poi, Mr Turing?

Noto con piacere l’accenno alla morfogenesi [nell’ultimo periodo della sua vita Turing studiò la formazione degli esseri viventi, trovando relazioni matematiche che spiegano i meravigliosi disegni maculati di alcuni animali e insetti, ndr]. Accettazione di cosa, esattamente? Non ho mai avuto il problema di accettarmi come sono, è una sciocchezza pensare di poter essere diversi da come si è. Il segreto sull’omosessualità derivava da un problema di altri, la mia cautela a manifestarmi a uomini che m’interessano – sorride imbarazzato – è pura paura di perderli ancor prima di toccarli. A volte te ne stai seduto a conversare con qualcuno e pensi che, nel giro di tre quarti d’ora, o ti farai una magnifica nottata o sarai buttato fuori a pedate. Abitavo vicino a Forster al King’s College, ma non avrei mai avuto il coraggio di cercare di conoscerlo. Mi sarebbe piaciuto incontrare uno Scudder coraggioso e selvaggio, non accadde. Quanto ad Harvey Milk, non ho lo spirito del trascinafolle. Quello che avevo da dire è nei miei scritti, che invito a riscoprire.

Mr Turing morde la bella mela e ce la offre: “Volete un morso anche voi?”

Giancarlo Zaffaroni e Carlo Camboni

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.

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