Magazine Cinema
Trama: il giornalista scandalistico Dave Skylark ottiene un'intervista con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e viene ingaggiato dalla CIA, assieme al produttore Aaron Rapaport, per ucciderlo...
Il cinema, come tutte le forme d'arte, è davvero questione di prospettiva. The Interview, prima ancora di uscire, ha rischiato di scatenare una guerra tra Nord Corea e USA, ha attirato su di sé minacce di attacchi terroristici simili a quelli dell'11 settembre tanto da convincere la gran parte delle sale cinematografiche americane a non programmarlo, ha portato un gruppo di haker a sputtanare ben bene la Sony riversando sul web e-mail dai contenuti compromettenti, ha scomodato Obama e concetti come la libertà di espressione ed è finalmente uscito il 24 dicembre nei pochi cinema che hanno avuto il coraggio di proiettarlo e su alcune piattaforme On Demand. Ma, in definitiva, cosa diamine è questo The Interview? Come si diceva, questione di prospettiva. Da occidentale cresciuta in un Paese "libero" è in pratica l'equivalente di Hot Shots! parte 2, dove veniva messo alla berlina Saddam Hussein, oppure degli sketch con Luca e Paolo che avevano per protagonista Bin Laden, solo un po' più volgare e logorroico; non ho visto nessuna volontà di essere sovversivo, di documentarsi sulla reale situazione del Nord Corea (di fatto, le critiche che vengono mosse al dittatore sono le stesse che potrebbe muovere qualsiasi tuttologo di internet con una superficiale conoscenza della situazione), nessun elogio degli USA e neanche nessuna critica se non, anche lì, molto superficiale e maggiormente concentrata sul mondo dell'entertainment e del giornalismo sensazionalistico a tutti i costi. Certo, se mi mettessi invece nei panni di persone cresciute all'ombra di una dittatura e convinte che il loro capo dello stato sia un Dio sceso in terra mi girerebbero parecchio i cabasisi davanti ad un film simile, perché l'"ironia" di Goldberg e Rogen non è quella raffinata dei Monthy Piton e del loro Brian di Nazareth per dire, ma è un umorismo crasso, di cattivo gusto, a base di culi, cacca, scoregge e secchiate di sangue, dove il dittatore nordcoreano viene preso a sputi in faccia e dipinto come un bambino psicopatico o come un cretino totale. A prescindere dalla prospettiva, soprattutto quella di una cultura che assolutamente non sarei mai in grado di capire e condividere, quel che non deve trarre in inganno è che The Interview è un film che molto probabilmente sarebbe passato sotto silenzio se non fosse per tutto il casino che è scoppiato, perché non è così innovativo da giustificare il suo passaggio ad instant cult e non è neppure così divertente da finire negli annali della commedia: è una pellicola che si guarda volentieri e passa, punto.
Mettendo da parte tutti i gossip e gli scandali, diciamo quindi che The Interview come film funziona molto bene fino alla metà della sua durata, soprattutto grazie alla fantastica alchimia tra Franco e Rogen, veri mattatori della pellicola e perfettamente immersi nei ruoli che sono loro più congeniali, ovvero il megalomane pazzo e la spalla più ragionevole. Le risate sono garantite dai dialoghi surreali tra i due (da ascoltare, chevvelodicoaffare, in lingua originale) e da un paio di apparizioni speciali di VIP realmente esistenti, probabilmente l'aspetto più geniale della pellicola. Dopodiché, i due protagonisti vanno in Nord Corea e lì cominciano sia la parodia di un film di spionaggio sia il confronto con il "vero" Kim Jong-Un; per quel che riguarda il primo aspetto, la parodia funziona e strappa delle grasse risate, il secondo è un po' più banale (anche se l'utilizzo inaspettato delle canzoni di Kathy Perry mi ha annientata) e segue un percorso di formazione abbastanza prevedibile sia per il personaggio di Franco che per quello di Rogen. La seconda parte della pellicola soffre invece di qualche lungaggine (d'altronde parliamo di quasi due ore di film, un po' troppo per questo genere) e faciloneria ma ho molto apprezzato la virata più "pulp" di un paio di sequenze, che mi hanno fatto ben sperare per il futuro adattamento di Preacher ad opera di Seth Rogen il quale, se non ho preso un abbaglio, potrebbe dare davvero il bianco per quel che riguarda i personaggi di D'Aronique e Herr Starr. Ma sto divagando, scusate. Quel che è indubbio guardando The Interview è l'incredibile cura del dettaglio infusa nella realizzazione del progetto, a partire dai begli effetti speciali per arrivare a scenografie, costumi ed impiego di comparse, con un'abilità tecnica e registica che non sfigurerebbero all'interno di produzioni ben più serie e blasonate; l'introduzione con il minaccioso inno cantato dalla dolce bimbetta coreana e i titoli anni '60 sono una delle tante, signorili affermazionI di stile che consentono allo spettatore di sentirsi meno preso per i fondelli dal ghigno mangiam**da di James Franco che, al pari di Seth Rogen, sembra consapevole di aver messo su un baraccone mediatico senza pari per una pellicola che probabilmente sarebbe altrimenti stata un discreto flop apprezzato e conosciuto giusto dai loro fan. Torniamo alla questione della prospettiva, dunque: io per quelle due ore mi sono divertita quindi vi consiglierei di far finta di nulla, stare al gioco di questi due adorabili cialtroni e lasciarvi ingannare dalla più bieca operazione commerciale del 2014.
Dei registi e co-sceneggiatori Evan Goldberg e Seth Rogen (che interpreta anche Aaron Rapaport) ho già parlato ai rispettivi link e lo stesso vale per James Franco (Dave Skylark) e Lizzy Caplan (Agente Lacey).
Tra i personaggi famosi che compaiono non accreditati ci sono Eminem, Rob Lowe e Joseph Gordon-Levitt, tutti nei panni di loro stessi. Detto questo, se The Interview vi fosse piaciuto recuperate anche Facciamola finita. ENJOY!
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