Nicolas Provost (il regista; belga; al debutto dopo una lunga serie di lavori sperimentali) pur gettando le basi per un’idea di cinema politico si disimpegna in parte di tale fardello dal momento in cui l’amico febbricitante di Amadou viene fatto “svanire” nel nulla; da qui in avanti Provost dona alla propria opera un’aura speciale che batte strade pronosticabili (senza un lavoro, senza un soldo, Amadou deve trovare degli stratagemmi per campare) con risvolti però inattesi. Si parte con il pedinamento del protagonista nei confronti di una donna (Agnès/Stefania Rocca) vista confabulare con il boss malavitoso, segue un avvicinamento da parte di Amadou che porterà i due a copulare nel lussuoso loft di lei. Si immaginerebbe che una tale insistenza da parte dell’uomo di insinuarsi nella vita di una donna in affari abbia un secondo fine visto il torbido legame col capoccia, invece no, la faccenda dell’amico con ogni probabilità ucciso viene gestita da Provost in maniera separata (la vendetta si consuma casualmente in un peep show), quello di Amadou/Obama non è affatto un doppio gioco, è svelamento dell’essenza umana di cercare congiunzione nell’altro, bisogno di calore, morbidezza, confronto, intesa. La mossa disorienta poiché inaspettata, anche se è possibile vedere nella necessità di Amadou un desiderio integrativo (e quindi, forse, la prospettiva politica non è del tutto da depennare) corroborato da alcune battute che rivolge ad uno degli abitanti della casa-rifugio e che fanno pressappoco così: “non me ne frega un cazzo se loro mi stanno cercando, adesso ho una donna di qui che mi ama”, riportando, tra l’altro, tutto all’immagine inguinale dell’inizio.
Il percorso di Provost, al netto di una punteggiatura videoartistica eredità di quanto precede L’envahisseur (2011), non è esente da piccoli incidenti tutti riconducibili al piano sceneggiaturiale che lasciano delle perplessità non completamente obnubilate dalla sospensione dell’incredulità, ad esempio: l’introduzione di Agnès nella storia sa un po’ di forzatura perché non verrà chiarito quali sono i rapporti col capo mafioso per cui l’episodio appare costruito a tavolino; l’artificiosità si fa largo anche nella rapidità con cui Agnès, sposata e in carriera, cede alle lusinghe di un completo sconosciuto e di come quest’ultimo si sbarazzi del collega (… amante?) semplicemente con una telefonata anonima, oppure dalla facilità con cui sempre Amadou si intrufola nelle stanze del cattivo o della “casualità” di incrociare per le strade notturne di Bruxelles una delle persone che stava cercando, questi sono fatti che ad una scansione razionale è facile rilevare, poi però arriva il finale (ottimo come l’incpit) e la tolleranza verso gli inciampi appena descritti prende il sopravvento.