La strada scelta percorre i binari della visione in soggettiva, per cui ad inizio film vediamo la Thatcher “donna comune” ormai fuori dalla politica, ottantenne malata d’ischemia cerebrale, vedova, con il costante ricordo del marito Denis (Jim Broadbent), il cui legame rimane talmente forte da permetterne ancora una visualizzazione in chiave di confidente nel condividere luci ed ombre della propria esistenza: alternando costantemente passato e presente, ricostruzione storica e filmati d’epoca, con modalità frammentarie e scomposte, veniamo così a sapere delle sue umili origini, figlia di un droghiere, della forte determinazione ad entrare in politica, ergendosi fiera contro le barriere maschiliste e classiste, mentre la vita familiare ( il citato marito, i due figli) risulta spesso sacrificata sull’altare della definitiva ascesa al potere.
Quello che manca alla pellicola è una vera e propria caratterizzazione, con una certa sinergia al riguardo tra sceneggiatura e regia: la prima punta ad una visualizzazione dei vari episodi, non riuscendo a focalizzare l’attenzione sulla mancata simbiosi tra un paese prossimo al cambiamento e il freddo decisionismo proprio della “lady di ferro”, trascurando la confluenza tra vita pubblica e quella privata, mentre la seconda segue tale inclinazione, caratterizzandosi comunque per un gradevole fluire delle immagini, nonostante la scomposizione temporale, concedendosi come unico ardimento rapide carrellate e curiose visioni dall’alto, visivamente funzionali, oltre che simboliche, come l’ingresso in parlamento dei vari membri, tutti in grigio, e la “lady di ferro” a risaltare con il suo completo azzurro.
Con il forte carattere ad emergere preponderante solo in poche scene (la guerra delle Falkland, per esempio) lasciando sullo sfondo i tragici scontri sindacali o gli attentati dell’Ira, affidati sbrigativamente ai suddetti filmati d’epoca, il tutto finisce per poggiarsi esclusivamente sulle forti spalle della Streep, sconfinando spesso e volentieri nella facile agiografia:resta la sensazione di un aureo crogiolarsi in nome di un assolutorio compromesso, proprio ciò da cui la Thatcher rifuggiva, ambiguamente in equilibrio tra una mancata presa di posizione ed una strizzatina d’occhio complice, alla fine, oltre alla già citata gradevolezza complessiva, le sole costanti stilistiche e contenutistiche del film.