Magazine Cinema
(The Killer Inside Me)
Michael Winterbottom, 2010 (USA, Gran Bretagna, Canada, Svezia), 109’ uscita italiana: 26 novembre 2010 voto su C.C.
“Pulp, molto pulp… pure troppo” era la catch phrase di uno dei personaggi del memorabile carrozzone targato Gialappa’s Band, e la stessa descrizione sembra perfetta per introdurre l’ultimo film di Michael Winterbottom, The Killer Inside Me. La storia infatti, ambientata nel Texas degli anni Cinquanta, tratta della escalation psicotica di un giovane sceriffo (Casey Affleck) dal passato problematico ma fino a quel momento abilmente dissimulato, che d’un tratto è spinto a commettere una serie di efferati omicidi. Il vaso di Pandora si apre a causa dell’incontro-scontro con la bella “cortigiana” Jessica Alba: i due iniziano una relazione in cui eros e thanatos vanno a braccetto e che si conclude con l’uccisione della giovane ragazza e di un suo cliente, il rampollo della più ricca ed influente famiglia del posto (Jay R. Ferguson). Lo sceriffo, anche per coprire le sue tracce, sarà costretto ad uccidere ancora… ed ancora… ed ancora…
Da Bebo Storti (il protagonista degli sketch citati in apertura) passiamo ad Esopo: “Spesso gli uomini applaudono la finzione, e fischiano la verità”; anche per questo la proiezione del film di Winterbottom è stata accolta con mugugni e polemiche in numerosi festival e senza dubbio provocherà indignazione in molti spettatori. In pochi riusciranno a non distogliere lo sguardo durante alcune durissime sequenze, perché mostrano una violenza primordiale, priva della consueta “coreografia” cinematografica: così il volto tumefatto di Jessica Alba si scolpisce all’interno della nostra coscienza, rendendo ancor più agghiacciante il pacatissimo atteggiamento del suo carneade, che mentre la brutalizza sussurra parole d’amore – persino sincere. Il punto è che tutte le azioni del protagonista non sono mai giustificate all’interno della narrazione (non bastano gli accenni all’infanzia incestuosa e alla traumatica morte del fratellastro) e questo conferisce alla storia una dimensione di inquietante realtà; molta della violenza a cui si assiste ogni giorno non ha spiegazione né ragioni e vedere qualcosa di simile in un mondo idealizzato come quello del Cinema colpisce a fondo. Winterbottom si limita a riportare fedelmente su celluloide ogni pagina del controverso romanzo di Jim Thompson, senza adoperare orpelli stilistici o coraggiose scelte di regia: anche grazie alla fotografia polverosa e naive di Marcel Zyskind, il cineasta britannico restituisce con grande efficacia l’atmosfera del West americano nei Fifties, grazie ad uno stile asciutto e minimalista – è significativo l’uso ridottissimo del flashback, nonostante la storia invitasse fisiologicamente ad abusarne. In conclusione, si può dire che ognuna delle critiche rivolte a Winterbottom sia effettivamente fondata, proprio perché si tratta esattamente di ciò che il regista aveva deciso di proporre: una versione fedele al romanzo, una esplosione di violenza senza spiegazioni. Ci è riuscito completamente. Provante.
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