Magazine Cultura

The Kingdom: l’Arretramento dell’Avanguardia Giova al Cinema (e alla TV)

Creato il 15 febbraio 2016 da Dietrolequinte @DlqMagazine
The Kingdom: l’Arretramento dell’Avanguardia Giova al Cinema (e alla TV)

Nettando il movimento dai suoi esiti più provocatori Dogma 95 rappresentò un sintomatico tentativo di repulisti cinematografico, quasi ovvio poiché ciclico come dimostra il richiamo alla Nouvelle Vague e alla sua borghesizzazione indicata nello stesso manifesto programmatico. La "castità" tecnica invocata da Lars von Trier e Thomas Vinterberg, firmatari del documento, in un'industria che stava muovendo i primi decisi passi verso la rivoluzione digitale, è stata sconfessata in primis dai due fautori appena dieci anni dopo.

Durante la sua breve esistenza il movimento ha titillato più le corde teoriche dei registi che il loro modus operandi, fornendo più che altro materiale ai vari corsi di critica del cinema. Di opere veramente dogmatiche, difatti, ne sono scaturite ben poche. Lo stesso Lars von Trier ha sempre avuto un'interpretazione lasca del decalogo di regole di Dogma 95. Ad ispirargli il sulfureo manifesto deve essere stata probabilmente la consapevolezza di uno stile che, dietro un paravento narrativo ben collaudato, andava sperimentando proprio in quella decade alcuni degli stilemi che vi troveranno spazio. Mi riferisco in particolar modo alla serie televisiva The Kingdom, uscita nel 1994 in Danimarca e da noi trasmessa a notte tarda sull'unica oasi catodica d'Italia, Fuori Orario di Enrico Ghezzi.

Originariamente divisa in quattro puntate l'opera di Lars von Trier ha trovato anche una distribuzione che la conglobava in un unico film di quattro ore. Questa scelta può, di primo acchito, rivelarsi ostica ma in realtà ha il merito di accentuare il carattere di compattezza della serie che è avulsa dagli stilemi cadenzati tipici della serialità americana. Quindi non troveremo i tipici cliffhanger che chiudono ogni puntata, né ricerca affannosa dei colpi di scena, non saranno presenti reiterazioni narrative e i personaggi non gireranno a casaccio nell'attesa che la puntata raggiunga la durata standard. A questo punto, immagino, vi starete chiedendo a quale genere appartenga The Kingdom. La serie sceneggiata da Tómas Gislason, Lars von Trier e Niels Vørsel è un miscuglio di prodotti che circumnaviga alcuni dei maggiori drama- soap di ambientazione ospedaliera senza rinnegare mai in questa navigazione la propria natura peculiarmente horror.

La trama principale vede infatti la signora Drusse (interpretata con squisita tenerezza dalla brava Kirsten Rolffes), ospite lungodegente dell'omonimo complesso ospedaliero che dà il titolo all'opera, alle prese con il mistero di una bambina fantasma che soffre ancora a causa della violenta morte indottale decenni prima. La prima parte di The Kingdom, dopo l'esemplare inizio dell'ambulanza fantasma, scorre lenta come un placido fiume di collina, concentrata perlopiù nell'interazione tra il personale medico della struttura. Lars von Trier, che firma da solo la regia, opta per una fotografia dai colori smorti, anti-naturalistici, che avvolge le vicende filmate di una patina giallo-arancione assolutamente sgradevole alla vista. Il regista danese ci chiede di superare la piacevolezza estetica che nel secolo XX l'occhio ha imparato a pretendere (e anche uno spettatore occasionale sa quanto dietro alla confezione patinata del serial sovente si nascondano bignami di sceneggiatura di terz'ordine) per tornare all'origine del racconto di emozioni forti, quello che senza trucchi e jump-scare esagerati sapeva inquietarci con il suo andamento progressivamente perturbante.

Così The Kingdom dapprima ci consente di familiarizzare con il composito drappello di medici ed aspiranti tali, ci fa parteggiare per loro o ce li fa odiare, e poi scaraventa nelle loro-nostre vicende l'evento soprannaturale. La dimensione propriamente orrifica non presenta elementi di particolare innovazione: una bambina uccisa per turpi motivi infesta gli angusti sotterranei della struttura e sarà solo la spiritista signora Drusse, l'unica a credere con fermezza all'esistenza dell'ultraterreno, a sbrogliare la sequela di apparizioni fantasmatiche. Da questo punto di vista sembra che l'ateo Lars von Trier, pur in un'opera chiaramente conciliata come è questa, si faccia beffe perfino del razionalismo positivista che rifiuta la realtà fenomenicamente sovrannaturale in nome di un'ideologia conchiusa nella propria giustezza filosofica. L'emblema di questa lettura è dato dalla parabola del neochirurgo Stig Helmer, interpretato dal gigione Ernst-Hugo Järegård. Piccola considerazione a latere: la scelta di mettere come protagonista principale un emerito stronzo qual è il razzista medico svedese dimostra ancora una volta lo scardinamento dei tòpos tipico del provocatore Lars von Trier.

Tornando al discorso principale, Stig Helmer, che per quasi tutto il tempo è stato perseguitato dalle conseguenze di un'operazione sbagliata che ha lasciato invalida una bambina e dalle antipatie dei colleghi, trova un parziale riscatto quando sceglie di affidarsi alla magia haitiana per zombificare un possibile delatore. Ed è sintomatico che a chiedere aiuto al folklore voodoo sia proprio il personaggio altrove arroccato nella propria arroganza e nella superiorità del proprio Paese. A tal proposito Lars von Trier e la sua squadra di sceneggiatori si sbizzariscono in alcune trovate sarcastiche di acclarata comicità, come ad esempio la scena in cui Helmer snocciola, dal tetto dell'ospedale, i marchi che fanno grande la Svezia rispetto alle "canaglie pezzenti" della Danimarca, dove si trova costretto a prestare servizio per quanto nolente.

Questa destabilizzazione ironica percorre tutta la serie: si noti, ad esempio, la scelta di inserire due ragazzi down (che interpretano due lavapiatti del complesso) che commentano, anticipano e spiegano gli avvenimenti che interessano i protagonisti, regalandoci più di una perla. "I cattivi vivranno, i buoni piangeranno, è così che va il mondo". Una verità talmente semplice che anche uno degli "idioti" tanto cari al nostro Lars è in grado di comprendere. Più che la testa di Udo Kier partorita dalla vagina di una donna incinta di sole dodici settimane (scena impressionante pur nell'asciuttezza stilistica di The Kingdom), il vero elemento orroroso è proprio questo: saper vedere la crudeltà di questo regno.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :