Al di là del potentissimo effetto revival che in questi ultimi anni cinematografici sembra aver rivalutato i maledetti anni ’80, facendo tornar di gran moda personaggi imbarazzanti del calibro di Chuck Norris, The last stand è un film dannatamente divertente, non certo per merito del suo provato protagonista, ma grazie ad una messa in scena solidissima, capace di restituire un senso dello spettacolo che sembrava perduto.
The last stand ha il coraggio, ma sarebbe forse più giusto dire la spavalderia, di restituire un intrattenimento che ormai sembrava dimenticato, una divisione della materia cinematografica, e di conseguenza del mondo, a tinte nette e ben distinte, bianco e nero, con i cattivi da una parte e i buoni dall’altra a tentare di fermarli. L’analogia con il western è dietro l’angolo e a ben guardare The last stand è molto più western di quel che sembra, con lo sceriffo di frontiera pronto a far rispettare la legge ad ogni costo.
Lo spettro di Mezzogiorno di fuoco è lì, ad un passo, pronto a restituire al cinema americano, paradossalmente per mano di un coreano, quella dignità che sembrava smarrita. La pudicizia del passato e l’intransigenza di uno spettacolo che fa quasi tenerezza, così linearmente pronto ad eliminare tutte le sfumature e tutte le furbizie tipiche di una completa, complessa e moderna consapevolezza cinematografica.
Schwarzenegger è quindi solo un pretesto, il nome di un dinosauro da mettere sopra un titolo, ultima vestigia di un mondo e di un modo, che sembravano scomparsi, così ingenuamente monocorde, splendidamente prevedibile e stupidamente, teneramente, utopicamente commovente.
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VOTO
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