Prosegue la scia di remake in alta definizione che Nintendo dedica ai capitoli principali della serie di Zelda. Tocca stavolta all'episodio crepuscolare arrivato su Wii, uno dei più discussi per le sue somiglianze con Ocarina of Time.
Versione analizzata: Wii U
Francesco Fossetti scrive di videogiochi -fra una cosa e l'altra- da più di dieci anni, e non ha ancora perso la voglia di esplorare il mercato con vorace curiosità. Ammira lo sviluppo indie e lo sperimentalismo, divora volentieri tutto il resto. Lo trovate su Facebook, su Twitter e su Google Plus.
Nota: Prendendosi la libertà di interpretare il racconto di Twilight Princess, la parte conclusiva di questo articolo discute di importanti elementi narrativi. Chi si avvicina al titolo per la prima volta, e vuole scoprirlo senza anticipazioni, può interrompere la lettura prima del commento finale, quando struttura di gioco e qualità della conversione saranno stati abbondantemente analizzati.
Dieci anni dopo, Twilight Princess è ancora lì: fermo nel suo crepuscolo meraviglioso. Immobile nell'attimo in cui coesistono gli opposti, nel momento in cui si fondono la luce ed il buio.
Twilight Princess è un titolo attraversato da mille contraddizioni, amato e discusso, punto d'incontro di forze inconciliabili: è uno Zelda che prova a far coesistere la nostalgia della tradizione con l'urgenza della modernità. Uscito proprio a metà fra le due grandi stagioni di Nintendo, è il titolo che meglio rappresenta l'anima divisa della casa di Kyoto: la necessità -intimamente nipponica- di trasportare il passato nel futuro, di andare avanti senza dimenticare le proprie origini.
Twilight Princess è, a conti fatti, il seguito spirituale di Ocarina of Time, richiesto a gran voce da un pubblico straniato dai troppi sperimentalismi. Cupo, contorto, persino spaventoso Majora's Mask; e invece fanciullesco e sgargiante e macchiato da una solitudine pervasiva Wind Waker: tutti concordavano che fosse arrivato il tempo di tornare a calcare vie più consuete. Lo volevano i fan, lo voleva Aonuma. E fu così che su Wii si presentò un capitolo meno originale dei precedenti, al punto che questa sua fedele aderenza al canone finì per ritorcerglisi contro.
Dieci anni dopo, di fronte alla riedizione in HD, poco è cambiato. Sono più belli i volti e i giochi di luce, ma l'essenza di Twilight Princess è sempre la stessa, e il pubblico tornerà a dividersi. Alcuni, crucciati da un imperdonabile immobilismo, continueranno a tracciare confronti spietati fra il mondo vibrante attraversato su Nintendo 64 e quello un po' vuoto e solitario che invece arrivò su Wii. Altri, meravigliati dalla struttura perfetta dei dungeon e da un racconto che mette in ombra l'eroe per concentrarsi su altri personaggi, capiranno che anche Twilight Princess è uno Zelda a suo modo unico. Come tutti.
When the day met the night
Ai margini del regno di Hyrule, Link trascorre i suoi giorni inconsapevole del destino che lo attende. Mentre si esplorano i dintorni di Villaggio Tauro, assaporando la tranquillità di un'esistenza fatta di piccole cose, ci si rende immediatamente contro del rapporto che lega Twilight Princess ad Ocarina of Time. Il design dei personaggi e la struttura delle ambientazioni saranno ben familiari a chi ha giocato l'episodio per Nintendo 64. Il colpo d'occhio è praticamente lo stesso, arricchito però da dettagli quasi "barocchi", recuperati da un fantasy di matrice tolkieniana.
I punti di contatto con il predecessore sono però soprattutto ludici: gli strumenti che Link recupera nel corso della sua avventura sono quelli che conosciamo, scandiscono una progressione tutto sommato consueta. Arco e frecce, fionda, boomerang, bombe esplosive. È inevitabile, soprattutto per i fan di vecchia data, avvertire una serpeggiante sensazione di stanchezza. Oggi, di fronte alla riedizione in Alta Definizione, questa sensazione potrebbe essere amplificata dall'abbondanza dei remake oppure smussata dal gocciare del tempo, ma di sicuro è infiammata dall'avvertibile linearità dell'avanzamento, molto meno libero rispetto agli standard della serie.
Sebbene non influisca sulla durata dell'avventura, che si porta a compimento impiegando una trentina d'ore di gioco, Twilight Princess è un capitolo molto inquadrato. E quando i suoi spazi si aprono bisogna fare i conti con aree smisurate ma vuote, lontanissime da quelle pulsanti di vita a cui altri episodi ci hanno abituato.
Si tratta di difetti pienamente avvertibili; per molti - anzi- insormontabili, letti come la traccia indelebile di una crisi creativa. Eppure, in difesa di un titolo che ancora oggi si lascia giocare piacevolmente, bisogna dire che l'assenza di side quest si perdona in nome di un'avventura vivacissima, che non sta mai ferma e resta dinamica e ben tenuta fino in fondo, con qualche momento di sincera e brillante ispirazione. La progressione è illuminata anche dalla struttura perfetta dei dungeon, che a livello di architettura ed enigmi sono fra i migliori dell'intera epopea di Zelda, eguagliati soltanto da quelli dei più riusciti capitoli portatili.
Oltre a questo, Twilight Princess ammalia anche grazie alla sua insistita duplicità, legata alla maledizione che trasforma Link in un lupo tutte le volte che entra nel regno delle ombre. A livello prettamente ludico, la necessità di liberare le ambientazioni del mondo crepuscolare prima di poterle visitare in forma umana sfocia in una serie di combattimenti più noiosi di quanto sarebbe lecito aspettarsi. Il continuo spostamento fra luce e ombra, però, ha una precisa funzione narrativa e scenica. Le ambientazioni "notturne" sono silenziose ed oblique: luoghi deturpati dall'oscurità, desolati, in cui gli uomini sono ormai "evaporati" e tutto ciò che resta è la loro anima. Percorrere queste aree, liberarle per poi vederle rifiorire -investite finalmente dalla magia della luce- crea uno strano attaccamento a questa dimessa versione di Hyrule. È un sentimento intimo e segreto, forte quanto il senso di inoperosa libertà che si respirava solcando gli oceani di Wind Waker: è questa sensazione che detta il tono dell'avventura, come una malinconia radiosa che ci coglie nell'estasi del tramonto.
Dal punto di vista della conversione, il lavoro è come sempre attento, e non solo tecnicamente. Questo remake è in verità anche un opera di ammodernamento, capace di dare una svecchiata ai menù e di smussare alcune asperità dell'opera originale. A patto che non si giochi in Off-Screen TV, il Wii U GamePad ospiterà le mappe di gioco all'interno del proprio schermo, rendendo assai più comoda e veloce la consultazione. Alla stessa maniera, assegnare gli oggetti ai tasti fisici sarà un'operazione più snella grazie all'impiego del touch screen. Oltre alle caratteristiche connesse al pad, una maggiore asciuttezza dell'offerta emerge anche da certi piccoli accorgimenti che Tantalus -il team scelto per curare la conversione- ha messo in pratica per rendere certe sezioni dell'avventura meno tediose rispetto al passato. Si tratta di piccole revisioni alla progressione, inavvertibili per chi gioca Twilight Princess per la prima volta, importanti per chi lo riscopre in questa riedizione in HD.
C'è poi il discorso relativo al supporto degli amiibo: oltre ad interagire con tutte le figure "zeldiane" della collezione di Super Smash Bros, l'inedita statuetta di Midna permette di sbloccare la cosiddetta Cave of Shadows: una prova posta lungo un'arena a piani progressivi concettualmente simile alla Cave of Ordeals del vecchio Twilight Princess, qui inasprita dal fatto che Link avrà l'incarico di far fronte alle ondate avversarie in forma animale, con tutte le limitazioni offensive e difensive del caso.
Tecnicamente parlando, il remake in HD è plasmato direttamente sul calco della versione GameCube -dimenticate, quindi, l'immagine ribaltata del porting per Nintendo Wii: il gioco non ha subito variazioni rispetto all'opera originale, né in materia di conteggio poligonale né di framerate, bloccato a 30 frame al secondo (ma praticamente senza inciampi). Ad impreziosire il look della produzione, invece, troviamo un ottimo lavoro di texturizzazione e un sistema d'illuminazione rielaborato, che influisce in maniera evidente sulla resa delle ombre e sulla pienezza dell'atmosfera. All'interno di qualche dungeon è possibile scorgere mappe superficiali che rendono meno piatte le superfici, ed il lavoro di post produzione eccelle nell'anti-aliasing, consegnandoci quadri dalla pulizia invidiabile. Il risultato è insomma convincente, frutto di una grande cura e di un'amore viscerale per il materiale originale. Non era facile, dopo il colpo d'occhio meraviglioso di Wind Waker, tirare fuori un remake di pari potenza visiva, in grado di valorizzare un titolo vecchio di dieci anni, meno "stilizzato" però del suo oceanico predecessore. Nonostante la desolazione placida di questo mondo crepuscolare, il team di sviluppo ci è riuscito al meglio.
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