McConaughey interpreta Mickey Haller, un penalista che lavora letteralmente a bordo auto sulle strade di Los Angeles. La sua Lincoln, guidata da un ex galeotto ripulito e riabilitato, è lo studio mobile nel quale Haller riceve gli incarichi, compila documenti e incassa onorari in cash dai più improbabili clienti.
Con il solito pelo sullo stomaco che contraddistingue la categoria dei legali squalo, scava nella vita dei testi per renderli inattendibili, patteggia le pene in virtù di sottili compromessi con la controparte e spilla informazioni all'accusa portata avanti dalla ex moglie (Tomei) profittando delle libere uscite con lei e di qualche bicchiere di troppo. Ma, tutto sommato, Haller è un buon diavolo che crede nella morale.Finché non gli piove addosso il caso di Louis Roulet (Phillippe), un giovanotto ricco sfondato che lavora per l'agenzia immobiliare della madre (Fischer). Il rampollo è accusato di aver malmenato una prostituta dopo che lei l'aveva rimorchiato in un bar, ma la sua versione è che la vittima l'avrebbe incastrato con l'aiuto di alcuni complici per intentargli una causa di risarcimento milionaria mentre lui non avrebbe alzato un dito. Quando però il penalista scoprirà che il suo cliente mente spesso e volentieri e che ha già ucciso un'altra prostituta percuotendola con le stesse modalità si troverà dilaniato tra la necessità di farlo punire e salvare l'innocente che fu giudicato colpevole al posto suo."The Lincoln Lawyer" riesce ad essere un film borghese anche quando scende nei bassifondi cittadini, in mezzo a ciurme di motociclisti o nei penitenziari di massima sicurezza, tra criminali senza futuro. Nulla dell'olio scuro e grezzo che unge la macchina giudiziaria riesce a imbrattarne la fotografia patinata, la solarità dei luoghi e la perfezione dei singoli protagonisti e, ciò nonostante, riesce a non peccare di ostentazione. Come se l'enfasi glamour che tocca i personaggi di punta servisse a sdrammatizzare la vivacità di certe immagini piuttosto forti e a ingentilire la drammaticità dell'azione, sottolineata da un abbondante ricorso alle riprese in steadicam. C'è una luminosità prepotente in ogni scena, che viene sostituita da insegne al neon e da luci psichedeliche in quelle notturne. Alla regia di Brad Furman non piace l'oscurità, e tanto meno rinunciare ai cieli tersi della California. Non c'è un minuto di pioggia. Del maltempo si dimentica completamente anche durante l'epilogo quando, invece, nel libro di Connelly diluviava. Resta un mistero gravitazionale come Marisa Tomei sia riuscita a portare in spalla un marcantonio come McConaughey senza usare una campionessa di wrestling come controfigura. Ma questa e qualche altra inverosimiglianza a parte, la fedeltà al romanzo è vergata col sangue sin dalla scelta di un cast appropriato. E qui di sangue ne scorre un bel po'.