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L’esordio dei savonesi The Lonesome Picking prende il titolo di “Scanzoncina Folk”. Lo scambio di battute a seguire aiuta nella comprensione del loro mondo, conosciuto in termini di materia, ma qui proposto in modo originale. Non è difficile immaginare il genere, se solo si ha la possibilità di visionare il CD, perché le immagini - e il tipo di strumentazioni utilizzata - conducono senza alcun dubbio verso il mondo americano, quello fatto di blues, di folk, di bluegrass. Termini generici, famiglie e sottofamiglie, con divagazioni filosofico-musicali che, anche per i meno coinvolti, hanno un significato molto preciso e uno spazio geografico ben delimitato. Ma chi ha avuto l’opportunità di bazzicare quei luoghi, un tempo quasi irraggiungibili, si sarà accorto di come sia difficile ottenere una patente che possa assimilare il musicista “straniero” al verace country man locale, qualunque esso sia: l’abilitazione non ha niente a che vedere col talento e non è neppure una misura difensiva, ma la differenza risiede nella capacità emozionale… è quella che viene giudicata, e superare l'esame potrebbe richiedere un tempo infinito! I The Lonesome Picking Pines non si pongono il problema… occorre vivere con i piedi per terra, la propria terra, ed ecco che tutto l’amore per il continente americano viene rovesciato nel disco di esordio, fatto di brani inediti, che presentano un grande elemento di originalità, e direi anche un discreto manifesto: mi riferisco all’utilizzo in toto della lingua italiana e, come vedremo, anche qualcosa di più ardito. E quale sarebbe la novità? Una band italiana che canta… in italiano? Beh, a memoria non ricordo nessuno che lo fa, all’interno di un genere così carico di paletti fissi, un contenitore fatto di libertà, certo, ma solitamente imprescindibile da alcuni accordi/strumenti e da una lingua ufficiale, che si mischia ad un’estetica precisa. Questo esordio ci regala la freschezza - e il coraggio - di un trio acustico che sembra arrivato direttamente da Nashville, o dalla vicina Memphis, pronto a raccontare i comuni momenti di vita evidenziando che le idee messe in campo non devono richiedere uno sforzo traduttivo, perché i messaggi devono arrivare chiari e comprensibili, alla faccia delle tante banalità - nei significati - che da sempre ci vengono propinate dall’ovest, mascherate da un idioma fascinoso e particolarmente adatto alla forma canzone. I The Lonesome Picking Pines scrivono le loro canzoni anche nella lingua di Albione, ma nello specifico scelgono la purezza comunicativa, trasmessa attraverso le loro ballad che colpiscono al primo ascolto. Sono macigni i loro maestri, salde le loro linee guida, e lo studio e la passione verso certa musica emerge ad ogni nota. Otto i brani, anzi, nove, perché la ghost finale fa emergere un’altra caratteristica del gruppo, la riscoperta/mantenimento della tradizione e della cultura locale, che nell’ultima traccia si manifesta attraverso la riproposizione di “Ohi me mì” - canzone numero sei - ma in lingua dialettale, e l’effetto è sorprendente, di sicuro effetto. Debutto incoraggiante, legato all’originalità e alla vena creativa di questi musicisti, giovani, ma con una significativa gavetta alle spalle.
Per i crediti - Alessandro Mazzitelli, Alex Raso e Martin Cervelli - scendere di qualche riga....
E dal vivo l’emozione continua… L’INTERVISTA a... Marco "Poldo" Poggio, Marco Oliveri e Andrea Oliveri
Mi raccontate un po’ la storia dei The Lonesome Picking Pines? Come nascono e come si è evoluto il progetto?
I Lonesome Picking Pines nascono nel 2009 da un'idea del nostro batterista Marco "Poldo" Poggio, quella di formare un gruppo dedito alle sonorità elettro-acustiche dell'alternative country americano di band come Wilco, Uncle Tupelo e Whiskeytown. Negli anni l'assetto della band si è consolidato intorno al trio acustico, e il suono si è ampliato al folk più classico, quello legato ai cantautori come Woody Guthrie, Bob Dylan e Neil Young. Per parecchio tempo, fin dalle origini, a nome "Lonesome Pines", solo di recente abbiamo aggiunto il termine "picking", con il quale abbiamo firmato il nostro primo album. Durante la lavorazione del disco, infatti, abbiamo scelto di chiamarci con un nome che identificasse solo noi e non creasse confusione con altre band omonime di bluegrass attive negli Stati Uniti.
Dopo una lunga gavetta fatta, se non sbaglio, di riproposizione di brani altrui, siete arrivati all’album d’esordio, fatto di inediti: come è maturata la scelta?
Per la verità abbiamo scelto di proporre brani inediti fin dall'inizio: infatti, nei nostri primi concerti e sui primi demo avevamo già alternato pezzi nostri a covers rappresentative del nostro genere, pur sempre riarrangiate con due chitarre acustiche e percussioni. La voglia di pubblicarne alcuni su un disco vero e proprio era forte quanto indispensabile, dopo diversi anni di concerti. Così, ultimamente abbiamo deciso di entrare in studio per concretizzare l'aspetto più "originale" del nostro progetto.
Da dove nasce l’idea del titolo, “Scanzoncina Folk”?
"Scanzoncina Folk" è una parola-macedonia di mia invenzione che indica la "canzoncina" non troppo perfetta, sicuramente non seriosa, un pò scalcinata e, appunto, scanzonata. Un'attitudine, piuttosto che una vera intenzione, che, per certi versi, ritroviamo spesso nella nostra musica, soprattutto in molti brani del disco e nella copertina un pò insolita.
La lingua che avete scelto è l’italiano, di solito non abbinato al genere che proponete nel disco, molto West Coast, come indica anche la strumentazione utilizzata: come siete arrivati a questa scelta?
Quando abbiamo cominciato a lavorare a canzoni nostre, non ci siamo posti troppo il problema di quale lingua utilizzare nei testi, perché abbiamo sempre scritto sia in inglese sia in italiano. Però, al momento di pensare ad un primo disco, abbiamo riflettuto su quanto poteva essere più originale cimentarci con la lingua italiana in brani che risentono molto dell'influenza dei cantautori folk e country americani, dal punto di vista della musica, del suono, dell'arrangiamento e, come dici tu, della strumentazione utilizzata. Inoltre, per l'opera prima volevamo anche comunicare in qualche modo da dove proveniamo, così la lingua con cui pensiamo e parliamo quotidianamente ci è sembrata la più adatta.
Non solo italiano, ma anche una chicca in forma dialettale: quanto sono importanti per voi la tradizione e la cultura locale?
La tradizione e la cultura locale per noi sono importanti fino ad un certo punto: nelle canzoni teniamo spesso in considerazione i modi di dire legati alla nostra parlata locale, ma è comunque tutto in relazione alla musica. Nella versione in dialetto savonese di "Ohi Me Mì", l'intento è sempre quello di mettere insieme il nostro linguaggio con la canzone d'ispirazione americana. In un periodo in cui il dialetto è - fortunatamente - sempre più utilizzato in musica, ma in arrangiamenti moderni e meno legati ad una tradizione, anche noi abbiamo voluto mettere in gioco in questo senso la parlata della nostra terra.
Mi raccontate qual è l’anima dell’album?
Avevamo in mente un album ispirato, impegnato ma non troppo serioso, fresco e coinvolgente. "Scanzoncina Folk" doveva rispecchiare il nostro modo di concepire la musica, che è anche diretto, intuitivo e, come dicevamo prima, sanguigno, spiritoso, scanzonato. Così ci siamo messi al lavoro seguendo questa idea, riscontrabile tanto negli arrangiamenti delle canzoni quanto nella copertina e nel titolo del disco.
Avete pianificato presentazioni e live di pubblicizzazione?
Sì, a partire dall'uscita dell'album, avvenuta ai primi di giugno, la nostra intenzione è quella di portare "Scanzoncina Folk" in giro in tutti i modi possibili, promuoverlo, farlo ascoltare e conoscere. Infatti, dopo averlo suonato dal vivo in diverse occasioni quest'estate, recentemente lo abbiamo anche presentato all'ultima edizione della Fiera Internazionale del Disco e del Cd di Vinilmania a Milano, e proposto a radio locali e riviste di musica come "Rockerilla", che l'ha recensito sul numero di ottobre. Il nostro obiettivo è continuare in quest'ottica anche nei prossimi mesi e in futuro, e il prossimo 13 novembre queste canzoni saliranno con noi anche sul palco della rassegna di musica d'autore "Su La Testa Contest".
Esiste qualcuno oltre a voi che giudicate fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo “album”?
Sì, di certo al raggiungimento di questo obiettivo, oltre a noi, hanno contribuito in modo decisivo amici e collaboratori che ci hanno aiutato dal punto di vista tecnico, su tutti il fonico Alessandro Mazzitelli, il grafico Alex Raso e il fotografo Martin Cervelli, ma anche le persone che ci sono state vicino moralmente, come le nostre famiglie e i tanti musicisti colleghi che ci hanno dispensato i loro preziosi consigli.
Che tipo di futuro musicale immaginate per i TLPP?
In futuro speriamo che il nostro primo album possa essere uno strumento per farci conoscere da un pubblico sempre più vasto, farci muovere i primi passi in ambienti importanti per il tipo di musica che facciamo, anche e soprattutto a livello nazionale. Speriamo che ci permetta di attirare attenzioni, che ci dia modo di crearci tante occasioni e nuove collaborazioni, ma anche motivi per confrontarci, crescere, cambiare e migliorarci. Fondamentalmente, pensando ad un futuro, speriamo di continuare a suonare insieme, scrivere altre canzoni, compiere sempre più chilometri, avere sempre nuovi stimoli e nuove idee.