Pianeta Marte, una tempesta di sabbia costringe l’equipaggio della missione spaziale Ares 3 ad abbandonare velocemente quella terra inesplorata. I detriti che volano nell’aria iniziano a distruggere quello che incontrano sulla loro strada, andando a colpire l’astronauta Mark Watney (Matt Damon), che suo malgrado verrà ritenuto morto dai suoi compagni astronauti e dalla stessa NASA.
“Tutta mia la città, un deserto che conosco…”Al suo risveglio il giovane biologo inizierà la propria avventura per sopravvivere e tornare sulla terra. Inizia con il piede sull’acceleratore il film della coppia Scott/Goddard, duo regista/sceneggiatore che firmano l’odissea di Matt Damon sul pianeta Marte. La pellicola fin da subito rivela il suo essere in assoluta controtendenza con la fantascienza cinematografica più intimista (almeno nella storia) propria di produzioni come “Gravity” o “Interstellar”, andando a costruire una via di mezzo tra la “spettacolarità reale” delle due pellicole appena citate e il fracasso proprio di produzioni stile “Armageddon” (anche se il tono spesso ha ricordato quel “Space Cowboys” di Eastwood). La cosa più incredibile è che “The Martian” riesce nell’impresa rivelandosi una pellicola divertente, appassionante e spettacolare, grazie ad un uso sapiente di tutto quello che ha a disposizione, dal cast attoriale (su quali Damon svetta inevitabilmente), a quello tecnico (ritroviamo Pietro Scalia al montaggio rinnovando il sodalizio con il regista britannico). Il cinema di Scott si fonda sull’estetica perfetta di un corpo che lo sguardo vuole vedere ed accetta di buon grado, spesso a scapito della comprensione del contenuto, elemento a volte schiacciato dal peso effimero della bellezza visiva.
Anche su Marte uno è costretto a lavorare“The Martian” è invece cinema in equilibrio, dove la gravità dello sguardo è ben fissa su quanto accade, ma è anche cinema di “perfezione” e ordine ove le derive non vengono mai raggiunte e la rotta è perfettamente tracciata a partire dal titolo stesso. Esiliati in un altro mondo i magnifici deliri di inventiva visiva propri degli ultimi film di Scott (si pensi alle piaghe di Egitto in “Exodus” o alla sequenza chirurgica di “Prometheus”), ad essere il vero sopravvissuto, ma sarebbe meglio dire ritrovato, è il cinema d’intrattenimento per tutti, perché se da un lato Scott non si concede nessuna sorta di deriva autoriale (ma qualcuno avrebbe da ridire nel definirlo autore), mette assieme uno spettacolo di prim’ordine, merito anche della sceneggiatura di Goddard che alterna momenti comici ad altri drammatici senza dimenticarsi mai di stupire chi guarda. “The Martian” sa dosare la retorica, rendersi visivamente incredibile, senza mai essere ruffiano, o almeno quando rivela di esserlo lo fa con la dovuta discrezione. Rimane il film più “stonato” nell’intera filmografia di Scott (proabilmente il primo film “ottimista” da lui diretto), ma anche un esempio di come un regista sa quando deve mettersi da parte e lasciarsi guidare dal racconto, dimostrando che anche il “compito in classe” può ambire ad andare ben oltre la sufficienza, spece quando la materia non era così scontata da trasportare nei fotogrammi di celluloide.