Freddie Quell (Joaquin Phoenix) soldato nella guerra del Pacifico, torna a casa distrutto nell'animo e nel sistema nervoso; dedito all'alcolismo e perennemente in fuga, incontra casualmente Lancaster Dodd ( Philiph Seymour Hoffman) scrittore e leader di una setta religiosa, che lo porterà ad abbracciare "La Causa" e a seguirlo in un lungo viaggio introspettivo e spirituale sullo sfondo dell'America anni '50.
The Master è letteralmente un fiume in piena di parole e significati, denso di emozioni, profondo anche nelle piccole sfumature di regia, esagerato nella sua potenza visiva. Paul Thomas Anderson scava nuovamente nel cuore dell'America, nelle sue contraddizioni, nella società del benessere, e in coloro tanto deboli da esser guidati da un oratore che promette di salvarli dal loro passato. Non parla di Scientology e non tratteggia la nascita delle sette religiose; lontano dall'essere un film di accusa o di scandalo che punta il dito contro il marcio che si nasconde dietro queste organizzazioni, Anderson si concentra quasi esclusivamente sul rapporto fra i due protagonisti. Quel maestro e il suo discepolo, legati a filo doppio e tenuti insieme a lungo da momenti d'intenso confronto intellettuale, fino a dipanarsi verso inaspettate soluzioni contrarie. Sono loro due il motore del racconto in una trama guidata dal dialogo, innestata sui colori di una strabiliante fotografia del rumeno Mihai Malaimare Jr a tratti superba per resa dell'immagine, e accompagnata dalle musiche evocative di Jonny Greenwood (Radiohead). Un cast di prim'ordine su cui svettano gigantesche ed inarrivabili le sublimi interpretazioni di Joaquin Phoenix e Philiph Seymour Hoffman, due dei più grandi attori viventi, qui alla loro prova migliore. I loro duetti provocano brividi lungo la schiena per intensità e verve interpretativa. Phoenix in primis, lontano dal set per oltre quattro anni, risorge abbandonandosi completamente ad un personaggio scomodo e difficile, eppure mai così bravo e mostruosamente perfetto.
Nonostante tutto questo è difficile valutare The Master con il solito metro di giudizio, a paragone con Il Petroliere il quesito diventa ancor più complicato. Paul Thomas Anderson firma il suo film più viscerale e intransigente, si concede pochissimi seppur bellissimi vezzi estetici, e dilaga nei dialoghi come non mai. Un vortice verbale e visivo cui non basta una singola visione per coglierne tutta la materia narrativa, salvo rimanerne comunque colpiti e profondamente ammaliati. Un'opera di una disarmante bellezza che risplende in quel tetro panorama artistico che è la Hollywood d'autore contemporanea. P.T. Anderson si conferma il miglior regista americano di oggi.