(The Master)
Regia di Paul Thomas Anderson
con Joaquin Phoenix (Freddie Quell), Philip Seymour Hoffman (Lancaster Dodd), Amy Adams (Peggy Dodd), Laura Dern (Helen), Rami Malek (Clark), Jesse Plemons (Val Dodd), Kevin J. O’Connor (Bill White), Madisen Beaty (Doris Solstad), Lena Endre (Mrs Solstad), Ambyr Childers (Elizabeth).
PAESE: USA 2012
GENERE: Drammatico
DURATA: 137′
Giovane e sbandato (ritardato?), traumatizzato dagli orrori della seconda guerra mondiale, Freddie Quell sprofonda in un turbinio di solitudine, dipendenza sessuale e alcolismo. Le cose sembrano cambiare quando incontra il misterioso Lancaster Dodd, sorta di santone che cura le persone con metodi decisamente sperimentali…
Lontanamente ispirato alla storia di L. Ron Hubbard, creatore di Scientology, l’opera n° 6 del talentuoso Anderson è un film anomalo e labirintico, viscerale e sottilmente fascinoso. Non un film biografico, ma un viaggio nella psiche umana che, come il buon vino, va visto e poi lasciato li a decantare. Anderson, ancora una volta (ma Il petroliere era stato una piacevole eccezione), si conferma molto più abile come regista che come sceneggiatore (il suo film non è felicissimo a livello narrativo: ripetitivo, confuso sulla via da seguire, troppo audace nell’affidarsi a “momenti” invece che a vere e proprie scene), ma questa volta centra alla perfezione l’intento metaforico, che amplia e continua il discorso iniziato proprio col Petroliere: l’ambiguo e inquietante rapporto tra Freddie e Lancaster racconta un’America senza mezze misure in cui o si plagia o si è plagiati, in cui o si è carnefici o si è vittime; e infatti negli States le sette (religiose o meno) sono migliaia, molte di più che in qualsiasi altra parte del mondo. Questo senso recondito è racchiuso in due scene di masturbazione, una “solitaria”, l’altra “assistita”, entrambe simbolo di una solitudine (tema caro a A.) esistenziale che sa di squallore dell’anima. Film difficile, lascia storditi perché rinuncia a qualsiasi manicheismo, non parla di bene o male, non da giudizi, non propone catarsi. Ottime prove attoriali, soprattutto quella di Phoenix che riesce ad aderire anche fisicamente all’abbruttimento animalesco del suo personaggio. Un plauso anche alle musiche di Jonny Greenwood, chitarrista solista dei Radiohead. Non un capolavoro, ma è un film da guardare.