The Master è un film ambientato negli anni ’50, sembra girato negli anni ’50 e racconta una storia che nel dopoguerra trova il suo teatro ideale: la ricerca di se stessi, la disperata ricerca di una nuova identità dopo che quella precedente si è dissolta tra morti lontani dalla propria patria. Freddie (Joaquin Phoenix) conduce questa ricerca dolorosa, che comincia come un gioco ma che sembra prendere il sopravvento sulla sua personalità stravolta dalla guerra. Ma la sua resa non è così scontata.
Il protagonista, quello che s’impegna in questa ricerca in modo più ingenuo e sanguigno di tutti gli altri; l’unico che sembra davvero rendersi conto del processo che attraversa e che riesce con difficoltà ad accettare i cambiamenti che subisce, è dunque Freddie. È un reduce di guerra, un vagabondo in preda all’ansia e alla confusione, che prova anche a tenersi un lavoro, come fotografo: non ci riesce. Ha bisogno di una famiglia, un nuovo tipo di famiglia americana che si sviluppa nel terreno fertile dell’incertezza di quegli anni: un movimento spirituale, La Causa, nel quale si imbatte per caso. Il leader carismatico sembra essere Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), che lo chiama sotto la sua ala protettrice e instaura un legame sempre più profondo: contribuisce a trasformare Freddie nel suo braccio destro al servizio della sua personale evangelizzazione, dopo averlo sottoposto ai suoi esperimenti psicologici e aver sondato la sua anima, lacerata dai conflitti personali ma restìa a lasciarsi manipolare. Il gioco, tuttavia, non è condotto dal solo Dodd, se è vero che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna (Peggy / Amy Adams)…
The Master è un capolavoro: un giudizio forse affrettato ma necessario e giustificato dalla sceneggiatura, che mostra in maniera coinvolgente e senza fretta l’evoluzione dei rapporti tra i personaggi e delle loro singole personalità; giustificato dalla fotografia che, come detto, lo fa sembrare girato negli anni ’50: il segreto è la pellicola 65 mm, i colori saturi che esaltano i valori di ciò che simboleggiano, come l’azzurro del mare o il rosso sangue della vestaglia di Dodd; giustificato dai brani musicali, punteggiati da dissonanze che sottolineano soprattutto il conflitto interiore di Freddie; giustificato dalle interpretazioni dei personaggi principali, con cui gli attori trasmettono la sensazione di aver vissuto essi stessi un percorso tanto pericoloso.
Ho pubblicato quest’articolo anche su Cinema4Stelle. Eccovi il trailer.