Magazine Cinema
di Rithy Panh
Cambogia, 2013
genere, drammatico
durata, 96'
Adorno disse che scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie. Oltre al caso della secondaguerra mondiale, questo celebre aforisma descrive alla perfezione ogni atto umano in cui il Male prende ilposto della ragione, rendendo quasi efferato anche solo il tentativo di volerne parlare. Per questo motivo L’image manquante è un’opera sorprendente, raffinata e al contempo perturbante. Protagonisti della pellicola, rara combinazione di film-memoir e documentario sul genocidio cambogiano,sono decine di modellini di argilla rozzamente intagliati e dipinti a mano. Il loro ruolo è quello di riempire il vuoto dell’immagine mancante, di ciò che il governo di Pol Pot ha creato per sostituire gli orrori del suo governo con il ritratto artificiale di una popolazione in festa.
Il regista Rithy Panh, cambogiano di nascita e francese di educazione, ha compiuto qualcosa di più che una semplice narrazione storica. Attraverso la sua vicenda personale –fu l’unico di tutta la famiglia a sopravvivere–, egli innalza la sofferenza individuale a valore universale, operando un passaggio dal bambino che visse quelle atrocità all’Uomo come genere. Lepiccole sculture in argilla rappresentano i suoi genitori morti, gli otto fratelli, la comunità completamente scomparsa e, più in generale, la sua giovinezza. Non sono quindi solo burattini, ma veri e propri veicoli di memoria capaci di testimoniare la vita di un terzo di cambogiani morti di fame o costretti in campi di lavoro istituiti dal dittatore. Inoltre, la scelta di servirsi di terra per raffigurare uomini piuttosto che veri attori è una potente metafora della nefandezza e della turpitudine di cui il regime di Pol Pot coprì i cambogiani. Uomini creati ex nihilo, proprio in accordo con la volontà teogoniche del grande dittatore, che fu quella di forgiare una nuova umanità di contadini rivoluzionari. Degli orrori dei Khmer Rossi si è più volte detto nei libri ma al grande schermo la vicenda era pressochè sconosciuta prima che Rithy Panh riuscisse, con sorprendente semplicità e fluidità, a concentrare in poco più di novanta minuti una storia così buia. Incredibile è la calma stilistica del regista e la perizia con cui riesce a far percepire allo spettatore la dinamicità degli eventi, senza animare le figurine (diversamente da quanto avviene tradizionalmente nello stop-motion), ma semplicemente cambiando loro luogo e posizione. Fondamentale in questo senso è anche il ruolo giocato dal voice-over diPahn stesso, guida elegante che ci accompagna lungo tutta la durata del film, aumentando la consapevolezza e la comprensione visiva di certe scene.
Nella carrellata di sequenze si alternano descrizioni di vita quotidiana con altre che testimoniano il supplizio realmente vissuto dai cambogiani, e documentato dalle immagini di Ang Sarn, un cameramen che riprese scene di vita vere: venne torturato e ucciso. Il suo corpo e la sua storia sono scomparse, ma non le sue immagini. La verità è negli slogan gloriosi o nelle immagini mancanti? Rithy Panh vorrebbe dimenticare, ma l’orrore è legato al periodo della giovinezza. E’ stata la voglia di assolvere alla mancanza di grande parte delle immagini a spingere il regista a realizzare il film (nominato nel 2013 agli oscar come migliorlungometraggio in lingua straniera), o meglio, a ri-creare le sue memorie. La qualità del film pare talvolta onirica, sebbene il soggetto sia da incubo. Come egli stesso conclude: “ci sono molte cose che un uomo nondovrebbe vedere né conoscere, e se le vedesse, dovrebbe morire. Ma se uno di noi ha visto queste cose, alloradeve vivere per raccontarle. Un film politico deve curare ciò che ha creato. Questa immagine mancante io vi affido”
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