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Clapham Junction è la stazione più trafficata del Regno Unito. Se guardi a destra e a sinistra, non vedi altro che binari e binari, morti o funzionanti, con i treni colorati di mattoncini lego che sfilano pazienti nella loro fatica quotidiana. Dopo aver attraversato la stazione, riprende il solito paesaggio di cantieri in costruzione, canali di scolo, capannoni industriali tutti uguali che sembrano binari di un altro treno che viaggia nella direzione opposta, case basse e grigie come il cielo su cui si staglia quello in technicolor dei cartelloni pubblicitari – Fly Emirates to 160 destinations: altri cieli truccati dell’India, delle Maldive, degli Emirati Arabi, tanto che non ci credi possano esistere. A metà gennaio qui non ha cambiato colore per tre giorni, bianco e greve di fiocchi che cantavano una melodia sconosciuta, ma quella che si sveglia il giorno dopo è solo un’altra alba fradicia, di fango e di ghiaccio, di sentieri scivolosi e luce che non cambia mai, rosa sull’orizzonte fin dalle otto del mattino, che non sai se è ancora alba o già tramonto, in un crepuscolo perpetuo. Le strade si svuotano e nel silenzio ghiacciato cerchi quello che ti fa sentire a casa: le padelle antiaderenti, le foto sul muro, gli scoiattoli che rubano il cibo, l’odore che ritrovi ogni volta che torni (che non sai cos’è e nemmeno se è un buon odore). Adesso che il cielo ha cambiato nuovamente colore, a parte le magnolie stracariche e i muratori stesi al sole nient’altro è mutato. Non passa l’ansia dentro le ossa. E’ che forse il movimento è bello perché in quel momento non devi scegliere fra qui e altrove, perché in quel momento non esistono né qui né altrove, esiste solo la strada e la voglia di andare. Valeria Balistreri