Magazine Cinema
(The Next Three Days)
Paul Haggis, 2010 (USA, Francia), 122' uscita italiana: 8 aprile 2011
voto su C.C.
La vita di John Brennan (Russell Crowe) viene distrutta quando l'amata moglie Lara (Elizabeth Banks) è condannata per omicidio. Perse anche le ultime speranze nei meccanismi della giustizia "convenzionale", questo perfetto uomo qualunque saprà trasformarsi in una versione ingentilita del vostro eroe da action movie preferito, pronto a far evadere la consorte e progettare una nuova vita col loro figlioletto (Ty Simpkins).
Paul Haggis, apprezzato sceneggiatore (Million Dollar Baby, Flags of our fathers, Letters from Iwo Jima) passato da qualche anno alla regia con buon successo (Crash, Nella valle di Elah), mette in scena il remake di un oscuro film francese, Pour elle, provando a renderlo un affidabile blockbuster. Nella storia originale c'è però un insormontabile ostacolo, che neanche un rodato professionista del mestiere come Haggis è in grado di superare: l'intera narrazione si svolge in bilico tra drammone psicologico e chiassoso film d'azione, senza propendere mai in modo netto verso una delle due direzioni. Gli strazianti patemi del padre di famiglia che non riesce ad accettare la colpevolezza della moglie (data per scontata da tutti, persino dagli altri parenti) cozzano infatti con il successivo sviluppo che verte su piani machiavellici, inseguimenti in auto e rapine a trafficanti di droga; ad essere fuori luogo non è tanto la “commistione di generi” ma bensì quello che inevitabilmente ne consegue: la parte ispirata al dramma introspettivo soffre le incongruenze e le esagerazioni della trama mentre l'action film è stroncato da uno sviluppo macchinoso e condizionato dall'eccessivo spazio lasciato all'approfondimento della psicologia dei personaggi. Si tratta del proverbiale cane che si morde la coda, un circolo vizioso dal quale Haggis fatica ad emergere, nonostante possa avvalersi di un cast all'altezza e di una valida produzione (spicca la colonna sonora, firmata da Danny Elfman). Peccato, perché lo sceneggiatore americano ha dimostrato di avere talento, anche dietro la cinepresa, persino in questa occasione. Non mancano infatti alcune ottime scene e più in generale è comunque da apprezzare la struttura scelta per la narrazione, scandita da una originale concezione del tempo (che finisce col “giustificare” l'enigmatico titolo). La scelta di dedicarsi all'ennesima americanizzazione di un'opera europea non sembra però l'idea del secolo. Rimandato.
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