Se teniamo conto che le ghost stories sfornate in questi ultimi anni dalle più svariate produzioni, non sono mai state particolarmente significative sul piano artistico, e se inoltre teniamo conto anche del fatto che il trend modaiolo del mockumentary paranormale ha invaso da tempo le nostre pupille ormai esauste, questo "The Pact", dello statunitense Nicholas McCarthy, esordiente con alle spalle alcuni corti, ci stupisce favorevolmente per la precisione della fattura, nonchè per l'originalità di certe soluzioni. La storia in sè è banale (come potete leggere dalla sinossi più sopra): due giovani sorelle che ritornano nella casa della madre morta e sono subito assalite da entità invisibili che ne combinano di tutti i colori per spaventarle a morte. Non è la storia, appunto, a rendere il film interessante, bensì il modus operandi di McCarthy, che lo avvicina, in alcuni punti della pellicola, a un Ti West, nel modo di utilizzare gli spazi casalinghi, i rumori, le atmosfere sinistre evocate dalle visioni di Annie. La tecnica cinematografica perturbantogena è usata e dosata a dovere e con una certa passione. Ad esempio McCarthy utilizza un lentissimo, inquietante ralenty all'interno di una sequenza da incubo, congelando tutto e soffermandosi sul primo piano del piede di Annie che sta fuggendo da una visione macabra che le appare in sogno. La tensione di tutta la sequenza è concentrata sulla tensione muscolo-tendinea di quel piede, colto come in una ripresa sportiva, ma generatrice di pathos quant'altre mai. Il film, poi, parte decisamente in quarta, dal momento che a circa venti minuti dall'inizio già tutte le furie demoniache del fantasma infestatore si sono liberate, e noi ci domandiamo cosa succederà dunque nei 70 minuti rimanenti. Succederanno parecchie altre cose in effetti, come ad esempio l'entrata in scena di una Haley Hudson (Stevie) il cui solo sguardo terrorizzerebbe un clan di barbari Visigoti in assetto guerresco, e la cui scelta di casting, da parte di McCarthy basterebbe da sola a rendermelo simpatico. Gli occhioni emaciati e tossicomanici della Hudson sono davvero terribili, ricordano Poe e lo spleen decadente e oppiaceo di Baudelaire, mentre le sue brevi ma intense performance attoriali nella sequenza della trance, la rendono comunque memorabile. Ma è naturalmente "la casa" a farla da padrona: quella carta da parati anni '70, quei mobili polverosi, quelle sedie a dondolo di legno bianco smaltato, e poi le tende di organza leggere, le porte a muro dello sgabuzzino che dà su un buio pesto inilluminabile, i corridoi stretti e cupi. Tutto sembra muoversi pur stando perfettamente fermo, a parte, naturalmente l'anima persa che abita la casa, che si rivelerà nella bellissima e drammatica sequenza della stanza nascosta dietro la parete, nella quale entrerà la giovane Stevie con Annie. Oltre ai luoghi perturbanti, anche ai dialoghi viene inoltre dato uno spazio adeguato, ben gestito (si veda il lungo dialogo, molto yankee e raffinato, tra Giles, il poliziotto, e Annie), portatore di un quid estetico in più che arricchisce l'intero allestimento. McCarthy è magistrale nel concentrare in pochi dettagli visivi una carica perturbante considerevole, e che da anni non vedevo così ben calibrata e successivamente sferrata come un pugno nello stomaco dello spettatore. Un guanto di velluto che però colpisce eccome, ne sono esempio le inquadrature spiazzanti e impreviste del pc portatile, oggetto di uso molto comune, nel quale Annie troverà foto da Google (come fa ciascuno di noi molto spesso), che prenderanno vita attraverso metamorfosi che mai ci aspetteremmo. "The Pact", pur lento all'interno di alcune sue parti, mantiene sempre alta la tensione e fluisce con tranquillo moto fino alla fine, dove il quadro dello script si completa in modo coerente. Ottima la fotografia, di Bridger Nielson, sovrailluminata e secca negli esterni, e lievemente contrastata e cupa negli interni, così come ottimamente evocativa la colonna sonora di Ronen Landa, delicata ma incisiva nei momenti giusti. In sintesi "The Pact" è stata una gradevole scoperta che consiglio vivamente di visionare, naturalmente a tarda sera, quando fuori piove a dirotto, e siete in casa da soli. Regia: Nicholas McCarthy Sceneggiatura: Nicholas McCarthy Fotografia: Bridger Nielson Montaggio: Adriaan van Zyl Musiche: Ronen Landa Cast: Caity Lotz, Casper Van Dien, Agnes Bruckner, Mark Steger, Haley Hudson, Katleen Rose Perkins, Sam Ball Nazione: USA Produzione: Preferred Content Durata: 89 min.
Se teniamo conto che le ghost stories sfornate in questi ultimi anni dalle più svariate produzioni, non sono mai state particolarmente significative sul piano artistico, e se inoltre teniamo conto anche del fatto che il trend modaiolo del mockumentary paranormale ha invaso da tempo le nostre pupille ormai esauste, questo "The Pact", dello statunitense Nicholas McCarthy, esordiente con alle spalle alcuni corti, ci stupisce favorevolmente per la precisione della fattura, nonchè per l'originalità di certe soluzioni. La storia in sè è banale (come potete leggere dalla sinossi più sopra): due giovani sorelle che ritornano nella casa della madre morta e sono subito assalite da entità invisibili che ne combinano di tutti i colori per spaventarle a morte. Non è la storia, appunto, a rendere il film interessante, bensì il modus operandi di McCarthy, che lo avvicina, in alcuni punti della pellicola, a un Ti West, nel modo di utilizzare gli spazi casalinghi, i rumori, le atmosfere sinistre evocate dalle visioni di Annie. La tecnica cinematografica perturbantogena è usata e dosata a dovere e con una certa passione. Ad esempio McCarthy utilizza un lentissimo, inquietante ralenty all'interno di una sequenza da incubo, congelando tutto e soffermandosi sul primo piano del piede di Annie che sta fuggendo da una visione macabra che le appare in sogno. La tensione di tutta la sequenza è concentrata sulla tensione muscolo-tendinea di quel piede, colto come in una ripresa sportiva, ma generatrice di pathos quant'altre mai. Il film, poi, parte decisamente in quarta, dal momento che a circa venti minuti dall'inizio già tutte le furie demoniache del fantasma infestatore si sono liberate, e noi ci domandiamo cosa succederà dunque nei 70 minuti rimanenti. Succederanno parecchie altre cose in effetti, come ad esempio l'entrata in scena di una Haley Hudson (Stevie) il cui solo sguardo terrorizzerebbe un clan di barbari Visigoti in assetto guerresco, e la cui scelta di casting, da parte di McCarthy basterebbe da sola a rendermelo simpatico. Gli occhioni emaciati e tossicomanici della Hudson sono davvero terribili, ricordano Poe e lo spleen decadente e oppiaceo di Baudelaire, mentre le sue brevi ma intense performance attoriali nella sequenza della trance, la rendono comunque memorabile. Ma è naturalmente "la casa" a farla da padrona: quella carta da parati anni '70, quei mobili polverosi, quelle sedie a dondolo di legno bianco smaltato, e poi le tende di organza leggere, le porte a muro dello sgabuzzino che dà su un buio pesto inilluminabile, i corridoi stretti e cupi. Tutto sembra muoversi pur stando perfettamente fermo, a parte, naturalmente l'anima persa che abita la casa, che si rivelerà nella bellissima e drammatica sequenza della stanza nascosta dietro la parete, nella quale entrerà la giovane Stevie con Annie. Oltre ai luoghi perturbanti, anche ai dialoghi viene inoltre dato uno spazio adeguato, ben gestito (si veda il lungo dialogo, molto yankee e raffinato, tra Giles, il poliziotto, e Annie), portatore di un quid estetico in più che arricchisce l'intero allestimento. McCarthy è magistrale nel concentrare in pochi dettagli visivi una carica perturbante considerevole, e che da anni non vedevo così ben calibrata e successivamente sferrata come un pugno nello stomaco dello spettatore. Un guanto di velluto che però colpisce eccome, ne sono esempio le inquadrature spiazzanti e impreviste del pc portatile, oggetto di uso molto comune, nel quale Annie troverà foto da Google (come fa ciascuno di noi molto spesso), che prenderanno vita attraverso metamorfosi che mai ci aspetteremmo. "The Pact", pur lento all'interno di alcune sue parti, mantiene sempre alta la tensione e fluisce con tranquillo moto fino alla fine, dove il quadro dello script si completa in modo coerente. Ottima la fotografia, di Bridger Nielson, sovrailluminata e secca negli esterni, e lievemente contrastata e cupa negli interni, così come ottimamente evocativa la colonna sonora di Ronen Landa, delicata ma incisiva nei momenti giusti. In sintesi "The Pact" è stata una gradevole scoperta che consiglio vivamente di visionare, naturalmente a tarda sera, quando fuori piove a dirotto, e siete in casa da soli. Regia: Nicholas McCarthy Sceneggiatura: Nicholas McCarthy Fotografia: Bridger Nielson Montaggio: Adriaan van Zyl Musiche: Ronen Landa Cast: Caity Lotz, Casper Van Dien, Agnes Bruckner, Mark Steger, Haley Hudson, Katleen Rose Perkins, Sam Ball Nazione: USA Produzione: Preferred Content Durata: 89 min.
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