E così, mentre adagiata sul divano della mia cameretta cristòno forte contro i link fallati dello streaming,
mentre bevo litri di thè verde arancia e zenzero perché la cellulite è una malattia e ogni malattia ha la sua cura (anche se sospetto essa non passi necessariamente da sorsate stile balena di Pinocchio di bevande importate dall’Oriente e distribuite dal Top Retailer of the Year),
mentre mi accingo a passare in rassegna gli “appena pubblicati” di WordPress,
un minuscolo promemoria giallognolo (arancione?) mi informa che queste sofferte pagine virtuali esistono (sopravvivono?) da ormai tre anni.
Tre anni, dico*.
Ne son cambiate di cose, ne son stati presi di treni e di lauree (va beh, una sola), ci sono stati i fallimenti brutti e gli scivoloni divertenti, traslochi si sono accumulati uno dopo l’altro, ho perso amicizie per strada senza troppo interessarmene (ma sapendo che è giusto e normale) e ne ho guadagnate e ritrovate altre, alcune proprio grazie a queste pagine; ho capito che peggio di Facebook (e ultimamente di Instagram) ci sono solo i blog, questi spazi falsamente anonimi e segreti in cui ogni parola è il suo contrario e ogni detrattore trova sistematicamente pane per i suoi denti.
Sono sempre più convinta che l’autoironia, la leggerezza di spirito, la sicurezza nelle proprie scelte e la capacità di farsi i cazzi propri siano le uniche armi vincenti, nella blogosfera e nella realtà fisica: nessuno legge i blog lamentosi e criticoni.
Per non parlare di quelli con le .gif di farfalline luccicose che accompagnano il cursore.
Quando ho aperto il blog avrei voluto fare la storica del cinema, l’anno dopo mi ero orientata verso la sceneggiatura,quello ancora successivo tentavo con la convinzione di Don Quixote di infilarmi di soppiatto nel mondo accademico, oggi non so cosa voglio essere ma so che sarà una figata.
Basta crederci, no?
E insomma direi che tre anni di blogging fanno di me una blogger, sebbene ultimamente le mie attenzioni siano maggiormente rivolte alla pagina Facebook che si fregia dello stesso titolo di questo luogo per motivi di tempo e forse di maggiore attitudine alle immagini che alla parola.
E allora proseguirò a farmi trasportare come un relitto dopo una tempesta tra argomenti disparati e non necessariamente brillanti/profondi/interessanti, tenterò forse un’auto terapia che mi induca a riamare i film senza sentire quell’ago di merda che si infilza nel petto ogni qualvolta entri in una sala cinematografica, e magari a scriverne di nuovo un po’.
Che lo sappiamo tutti che le serie tv sono un palliativo, sono il metadone alla mia eroina, sono la Eristoff alla mia vodka distillata con argento, sono il latte scremato al latte vaccino appena munto della mia infanzia: belle, anche piacevoli, però…
E insomma concludo questo ulteriore flusso di coscienza perfettamente sconclusionato con un grazie ai coraggiosi che ancora mi leggono, delle sentite scuse a chi vorrebbe scrivessi un po’ più di frequente e un
Over? Did you say… over? Nothing is over until we decide it is! Was it over when the Germans bombed Pearl Harbour? Hell no! And it ain’t over now!
preso in prestito dall’indimenticabile Bluto di Animal House, per ricordare al cinema che non è finita, e anche se sarò io a soccombere continuerò a combattere, dannato e stupendo amante fedifrago.
E così io e il mio macchiato ormai senza zucchero vi salutiamo con un inchino, ci ritiriamo per qualche giorno a riflettere sull’ineluttabile scorrere del tempo e torneremo ancora più superficiali, confusi e confusionari di prima.
*Come pochi, grazie al cielo, sanno, tenni per alcuni anni un blog anonimissimo su Splinder, sulle cui pagine riuscivo ad essere ancora più cazzona di quanto non lo sia qui. Peccato che Splinder se lo sia portato nelle profondità oscure della rete, visto che mentre tutti i blogger si affannavano a salvare i contenuti su Blogspot e su IoBloggo, con stoico fatalismo io guardavo il mio Ziggy Stardust perire, il mio Maxwell Demon assassinato sul palco, la mia Roma bruciare (you know what I mean).