The Raid Redemption è una figata? Su questo, pochi dubbi. The Raid Redemption è anche un grande film? Su questo, molti dubbi.
"Eh no, però: i calci nelle palle non valgono!"
La trama della pellicola può essere riassunta in una manciata di righe o forse anche in una manciata di parole: assalto, palazzo, botte. La cosa più impressionante è lo stile visivo del regista Gareth Huw Evans, un gallese che curiosamente ha trovato base nel cinema dell’Indonesia: è molto fisico, diretto, con lui i combattimenti avvengono in maniera naturale e allo stesso tempo cinematograficamente goduriosa. Giunto al suo terzo film, dopo un paio di pellicole passate piuttosto inosservate (Footsteps e Merentau le avete mai sentite nominare?), è sicuramente un nome da tenere d’occhio, un novello John Woo con qualcosina del Park Chan-wook, più un pizzico di stile da videogame alla Tekken, giusto per non farsi mancare niente. Il problema è che Gareth Huw, forse preso da una mania di fare tutto come i registattorisceneggiatori italiani, oltre a curare regia e montaggio, in cui è un capo assoluto, abbia voluto cimentarsi pure con la sceneggiatura. Per adesso il ghiribizzo di recitare non gli è ancora venuto. Per adesso, ma se magari si fa un giro dalle parti di Cinecittà, chissà che non gli venga pure quello. Al di là del fatto che la trama, come visto sopra, è davvero minimal, e tratta semplicemente di un corpo di polizia che fa irruzione in un palazzo a caccia di un pericoloso boss criminale, quello che mancano sono i personaggi, una storia, dei contenuti, dei dialoghi brillanti e magari anche un pizzico d’ironia non sarebbe guastata per rendere il tutto ancora più divertente. Oltre a un gruppo di attori che, botte da orbi a parte, a livello recitativo non si segnalano in alcun modo."Ahia!"
"Ahia, tu!"
(eletto all'unanimità come miglior dialogo del film)
Mancano le emozioni. Ci sono film “freddi” come Shame. Eppure quelli un’emozione la trasmettono eccome. Perché anche l’apatia è un’emozione. The Raid Redemption invece è “solo” un elettrizzante giro sulle montagne russe. Quando scendi, terminato l’effetto dell’adrenalina, cosa ti rimane? Niente. E anche di questo film, al di là delle spettacolose evoluzioni marziali o delle concitate sparatorie, non rimane granché terminata la visione. Peccato, perché il rapporto tra i due fratelli protagonisti sarebbe potuto essere analizzato in maniera più approfondita. Non tanto, per non far perdere la goduria dell’azione, però almeno quel minimo per provare un coinvolgimento emotivo nei loro confronti. Invece i personaggi sono monodimensionali, non caratterizzati, quasi inesistenti. Caso esemplare il capo della squadra di polizia che ha comandato il raid nel palazzo: cosa sappiamo di lui? Perché si comporta in quel modo? Di lui ce ne frega qualcosa?
The Raid Redemption sarà quindi salutato come il filmone action dell’anno e non a torto. Per essere un mio cult personale però avrebbe bisogno anche di una sceneggiatura degna di questo nome. Per il momento comunque mi segno il nome del regista, il gallese d’esportazione Gareth Huw Evans, che qualche bella soddisfazione in futuro ce la potrà regalare. Basta solo che per lo script si affidi a qualcun altro, un po’ come Nicolas Winding Refn, che quando si è deciso a girare e basta ha tirato fuori il suo capolavoro, Drive. Che pure non è che avesse nemmeno la sceneggiatura migliore del mondo… Comunque The Raid Redemption è una figata. Su questo non ci sono dubbi. Peccato sia “solo” una figata, quando sarebbe potuto essere pure un grande film. (voto 6,5/10)