The Rake's Progress di Igor Stravinsky (dir. S. Cambreling)
Creato il 01 giugno 2012 da Spaceoddity
Circa dodici anni fa ho visto per la prima volta questo spettacolo del The Rake's Progress e ne sono rimasto folgorato: avevo ancora relativamente poca dimestichezza con l'opera e il corso di Drammaturgia musicale su Igor Stravinsky che seguivo - la mia ultima materia universitaria - doveva completare lo sguardo accademico sul teatro e colmare in parte una lacuna della mia esperienza. Invece avvenne una vera metamorfosi nel mio modo di ascoltare la musica e in parte di vivere le relazioni umane e perfino lo studio. Cosciente dell'assoluta soggettività di quest'esperienza, alla quale mi legano direttamente o indirettamente diverse persone fondamentali nella mai vita di oggi, non insisterò oltre sull'aspetto emotivo di questo mio ascolto, per soffermarmi sulla qualità della produzione.The Rake's Progress (1951) è l'unica "opera" di Stravinsky, ovvero l'unico lavoro che il compositore russo esplicitamente ricollegava alla tradizione operistica classica, mozartiana in particolare. Su libretto di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman, mette in scena una serie di dipinti di William Hogarth su un libertino del '700. Ma Tom Rakewell, il protagonista, non è una nuova sceneggiatura sul solito don Giovanni, ne è semmai una traduzione moderna. Non opera moderna, bensì opera della modernità, con i suoi pregi e difetti, The Rake's Progress mette in scena sentimenti e difficoltà, debolezze e una struggente capacità di perseverare.La storia di Tom e Anne si dipana proprio sull'onda di una fragilità personale del protagonista. Innamorati e squattrinati, i due ricevono notizia di una misteriosa eredità lasciata al giovane da un fantomatico zio di cui non si aveva notizia. Per prenderne possesso, però, Tom deve recarsi a Londra con il messaggero, l'inquietante Nick Shadow. Dopo qualche perplessità, il novello erede segue il suo sedicente servitore, salvo trovarsi invischiato in una vita di lussuria e di vizi, fino a trovarsi sposato con una donna barbuta, fenomeno da baraccone, Baba la Turca, e perdere tutti i suoi averi. A nulla serve l'inseguimento di Anne, Tom cede tutta la sua esistenza al diabolico Nick: alla resa dei conti, questi propone un gioco di carte, che il protagonista riesce a vincere provocando la maledizione eterna di chi aveva tentato di trarlo in inganno, salvo finire però in manicomio, convinto di essere Adone in attesa della sua Venere innamorata.Stravinsky costruisce una struttura, al suo solito, neoclassica (nel senso, individuato da Vlad, di chi riconosce le forme classiche e le riutilizza per dare vita a una nuova concezione di opera). La devozione, più o meno ironica, all'architettura settecentesca, con tanto di indicazioni in partitura di cabalette e cavatine, e a motivi dell'estetismo e del moralismo del teatro filosofico classico, conferisce a The Rake's Progress una potenza straniante che hanno pochissime opere, anche nel Novecento. Anche il ben più brechtiano L'Histoire du Soldat o la messa in musica dell'indimenticabile Oedipus Rex cedono il passo di fronte a questo progetto intellettuale, a questo divertimento così "classico" in fondo, così riconoscibile per chi ami il teatro per musica.The Rake's Progress è, in fondo, insieme prevedibile e sorprendente. Gli snodi drammaturgici, in linea con Hogarth, sono le tappe di un cammino - tutto sommato rapido e molto a "numeri", come nell'opera preromantica - da una dignitosa ristrettezza, superba e superficiale, ma comprensibilissima, a una rovina senza appello del sé e della mente; d'altro canto, ogni singolo quadro dell'opera vanta un'armonia interna che riesce a mettere d'accordo anche persone meno favorevoli all'opera del '900 con i più accesi sostenitori della nuova (si fa per dire, ormai) musica. Per di più, gli sfondi su cui si svolge la vicenda sono una sfida registica interessante per chi voglia trovare richiami e ricercate dissonanze nel bellissimo, ed elaborato, libreto.Per questo apprezzo in modo particolare lo spettacolo di Jörg Immendorff ripreso per la televisione da Brian Large nel 1994 e distribuito dall'Arthaus. Con il suo grottesco uso dei colori e delle forme, con il suo immaginario cromatico scomposto e stridente, questa produzione fa, della pur dolorosa opera di Stravinsky, un'autentica festa. Merito anche di una direzione attentissima (Sylvain Cambreling alla testa della Camerata Academica con il Chor der Wiener Staatsoper) e di interpreti in grado di divorare l'attenzione del pubblico con l'indiscutibile presenza scenica. Eccezionali, innanzitutto, i due protagonisti: lo scatenato e bravissimo Jerry Hadley, che pure non è il tipo di tenore a me più caro, garantisce a Tom Rakewell insieme estrema vivacità scenica e carattere neghittoso, risultando oltremodo credibile, al di là dell'aspetto poco seduttivo che un po' mi aspetto per la parte. Per parte sua, la bravissima Dawn Upshaw dona ad Anne Truelove la sua esperienza e una voce scaltrissima, pronta a commuovere, emozionare, con la sua attitudine intima al soliloquio e al lirismo, fino allo straziante duetto fnale.Mi hanno convinto meno il Nick di Monte Pederson, ottimo interprete scenico, ma piuttosto calante qua e là nell'intonazione, e il pur bravissimo Trulove di Jonathan Best, mentre ho apprezzato in modo particolare l'energia e il canto della Baba di Jane Henschel, alla quale non credo si possa rimproverare nulla. Mi preme, però, sottolineare ancora una volta l'importanza dell'insieme nel determinare il successo di questa produzione: è uno spettacolo rapido e magnetico, che vive a sua volta d'inventiva e di rimandi, fantasioso e classico; e (mi si scusi l'ossimoro) eccessivo quanto basta, originale senza per ciò sprofondare nella banalità dell'estro a buon mercato. Da rivedere ancora e ancora.
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