THE RESCUES | Can’t Stand the Rain

Creato il 18 marzo 2013 da Exsisto

Dopo lo splendido frammento che Valeria ha pubblicato un paio di settimane fa, ho cercato a lungo un brano che potesse rappresentare una proposta “all’altezza”. Il fatto è che, volendo, ci sarebbero un milione di pezzi da commentare e sviscerare, pezzi legati a momenti particolari della mia vita o anche solo sentiti per caso alla radio in una giornata qualunque, grandi classici della storia del rock e del pop o piccole misconosciute perle che avrebbero meritato maggiore fortuna. Però quello che non riuscivo a trovare era qualcosa che avesse un bell’effetto su di me “qui ed ora”, che rispecchiasse il mio umore di questo periodo, qualcosa che mi facesse scorrere un brivido lungo la schiena, mi desse un po’ di pelle d’oca sull’avambraccio, e in sostanza mi facesse venire voglia, appena terminato di ascoltarlo, di rimetterlo da capo e risentirlo due, tre, quattro volte…

Poi, quasi più per fortuna che per altro, mi è capitato di riascoltare un album di un paio di anni fa di un gruppo indie di Los Angeles che si chiama “The Rescues” e del quale avevo praticamente dimenticato l’esistenza. Si tratta di un quartetto (due donne e due uomini) abbastanza particolare: tutti e quattro (Kyler England, Rob Giles, Adrianne Gonzalez e Gabriel Mann, i loro nomi) avevano una precedente carriera come cantautori solisti nel circuito dei locali californiani, poi nel 2008 hanno deciso di unirsi in questo gruppo all’interno del quale tutti partecipano alla composizione dei pezzi, cantano e suonano a turno diversi strumenti, dando vita a brani con armonizzazioni a 4 voci decisamente interessanti.

E qui apro una piccola parentesi: da sempre per me l’aspetto preminente in un brano di musica leggera è quello vocale, per cui ho sempre preferito cantanti, donne o uomini che siano, particolarmente dotati (Mina o Francesco Renga per fare un paio di nomi italiani) e gruppi nei quali più componenti partecipassero o si alternassero nella parte cantata dei pezzi (ad esempio i Beatles, i Fleetwood Mac, gli Eagles o i Manhattan Transfer per citare alcuni fra i più famosi), piuttosto che virtuosi di qualche strumento (solitamente la chitarra) che, per quanto bravissimi, non sono mai stati in grado di appassionarmi più di tanto (e già intuisco un mormorio di disapprovazione fra voi patiti di Jimi Hendrix e Eric Clapton). Ovvio quindi che questo ensamble avesse attirato a suo tempo il mio interesse…

Dopo essermi goduto l’ascolto di “Let Loose the Horses”, loro secondo album del 2010, sono andato a cercarmi anche il primo “Crazy Ever After” (2008) e il recente “Blah Blah Love and War” (2012) [come forse qualcuno fra voi già saprà il mio piccolo disturbo ossessivo-compulsivo non poteva permettermi altra soluzione che questa], scoprendo un bel po’ di pezzi che meriterebbero di essere ascoltati (cosa che vi consiglio caldamente di fare). Fra l’altro, se seguirete il mio suggerimento, potrà sembrervi di averne già sentito qualcuno da qualche parte, questo perché diversi dei loro brani sono stati utilizzati in episodi di alcune serie televisive (One Tree Hill, Private Practice, Pretty Little Liars e Grey’s Anatomy). Inoltre mi sono visionato alcune loro esibizioni live su YouTube nelle quali è possibile apprezzare la versatilità nel suonare a turno i differenti strumenti (in particolare Rob Giles passa senza problemi dal basso alla batteria e alle tastiere, mentre Kyler England alterna ukulele, chitarra e basso).

Fra tutti, però, il pezzo da “brividi e pelle d’oca” (almeno per quanto mi riguarda) è “Can’t Stand the Rain” tratto proprio da “Let Loose the Horses”, che era anche la canzone che mi aveva portato a scoprirli a suo tempo su The SixtyOne. Il brano si apre sulle note di un carillon su cui si inseriscono gradualmente le parti vocali e gli strumenti per poi arrivare alla partenza rock vera e propria della prima strofa cantata da Gabriel Mann con conseguente ritornello. Ma ecco che a sorpresa segue subito un inciso con ritmo, melodia e arrangiamento differenti cantato dalla sola Kyler England. Poi seconda strofa con ritornello e di nuovo l’inciso, ma questa volta a più voci e più ricco nell’arrangiamento. Infine piccolo bridge strumentale e terzo ritornello con finale a sfumare che richiama l’inizio del pezzo. Il frammento scelto (che si merita almeno 4 stelle) è il primo inciso, ovvero quello che va dal minuto 1:36 al minuto 2:02, che però funziona molto bene soprattutto nel contrasto con quanto viene prima e dopo, per cui il mio suggerimento è quello di ascoltare e godere tutto il pezzo nella sua interezza e con le sue molteplici sfaccettature. In aggiunta a quanto detto fino ad ora mi permetto di consigliarvi anche la visione del video, a mio giudizio molto carino.

Il frammento

Il link al brano completo


Insomma, che altro aggiungere? Come dicevo all’inizio, ci sarebbero un milione di pezzi da commentare e sviscerare, ma oggi è semplicemente una di quelle tante giornate in cui avrei unicamente bisogno che la smettesse di piovermi addosso…


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