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Anche negli spazi aperti e innevati fotografati dal re della luce, il cinema di Alejandro González Iñárritu è una gabbia priva di ossigeno. "Revenant" è intrappolato in uno sguardo chiuso che, tra un pieno e sequenza e l'altro, tra un virtuosismo di macchina e un controluce, non riesce mai a emanciparsi da se stesso. Tutto è perfetto, tutto è costruito a menadito e non c'è niente che possa scolpire il meccanismo ineludibile della messa in scena. Perfino là dove la vita arranca in estreme condizioni di sopravvivenza, non c'è cuore, empatia, non c'è un sussulto che ci faccia dimenticare la pesante struttura cinematografica che c'è dietro. Il problema è che, alla fine, ammaliati da una giostra di peripezie tecniche, ciò che manca è proprio il film. E non bastano le sorprendenti prove fisiche di Di Caprio e Tom Hardy: "The Revenant" rimane un revenge-movie a tesi, colmo di potenzialità non sfruttate che, mentre indaga sulla brutalità della natura umana, non cede ad altra tentazione se non quella di specchiarsi e piacersi un mondo. E alla fine rimane un vuoto che nemmeno uno sguardo in macchina può colmare.
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