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The Revenant di Alejandro González Iñárritu

Creato il 20 gennaio 2016 da Thefreak @TheFreak_ITA
The Revenant di  Alejandro González Iñárritu

1820. Frontiera del nord America. Un gruppo di esploratori alla ricerca di pellicce, guidati da Hugh Glass e dal suo figlio mezzosangue avuto con un'indiana Pawnee, si ritrovano costretti alla ritirata. Durante la fuga Glass viene aggredito da un grizly, riesce ad avere la meglio ma viene gravemente ferito. Viene lasciato alle cure del figlio e un compagno Fitzgerald. Questi cerca di soffocarlo per poter così tornare subito a casa, il figlio di Glass se ne accorge e lo affronta, ma viene ucciso. Fitzgerald scappa e lascia Glass in agonia nella neve. Il pioniere si rialza e inizia un lungo cammino attraverso le lande selvagge e innevate del nord America, per avere vendetta.

The Revenant di  Alejandro González Iñárritu

Non sono un fan di Inarritu. Lo sono stato, poi ho cambiato idea, sono tornato ad essere un suo fan, poi ho cambiato idea di nuovo. Sostanzialmente dipende dal film che dirige. Ho adorato Amore Perros, primo capitolo della trilogia della morte. Non mi è piaciuta l'esagerata sofferenza di 21 grammi e la sua globalizzazione in Babel. In Biuiful ha cambiato tema principale, il rapporto padre-figlio, sempre farcito di esagerata sofferenza e lentezza scenica. Poi, l'anno scorso si presenta con il quasi perfetto Birdman or The Unexpected Virtue of Ignorance, è rientrato nelle mie grazie (cosa che, in effetti, gli importa poco) nonostante la chiusa del film: quel finale, anche con il primo piano sugli splendidi occhioni verdi della Stone, proprio non mi è piaciuto.

Il film di cui sopra ho sintetizzato la trama ha riportato l'autore messicano ai tempi di Biutiful. Il romanzo da cui è tratto racconta la vera e straordinaria storia di Glass che, abbandonato perché creduto morto dopo lo scontro con l'orso, ha percorso 300 km a piedi. Nessuna vendetta da conseguire, nessun figlio ucciso. Ma Alejandro, quando si fissa su un argomento, è duro di testa: così, inserisce anche qui questa tematica.

The Revenant di  Alejandro González Iñárritu

Il film non è brutto, parliamoci chiaro, anzi, si fa guardare bene per tutte le 2 ore e 45 minuti. Eppure, un survivor movie non può essere girato da un autore alla Inarritu. Perché il risultato è un film con trovate visive meravigliose (la camera con visuale sul fucile come in un videogioco di FPS, o la foresta inquadrata dal basso verso l'alto, ne sono due esempi), scene bellissime (come la lunga carrellate che ti porta dentro una foresta immobile nel gelo delle mattina, oppure il lungo piano sequenza del primo scontro con gli indiani), campi e controcampi carichi di tensione - con monologhi o dialoghi interpretati magistralmente dai migliori esponenti attoriali di una generazione ( Domhall Gleeson, molto bravo nel ruolo del giovane a capo della spedizione, dopo il gerarca pseudo nazista di Star Wars). Epperò, anche scene d'azioni reali, brutali e cruente, che si alternano a scene oniriche fuori luogo; stereotipate tematiche di razza con indiani tutti buoni o cattivi per necessità, perché portati all'esasperazione da europei malvagi; per non parlare, poi, del modo in cui Inarritu ha diretto i suoi attori, costretti a sopportare temperature improponibili (in più di una occasione si sente il freddo patito dai personaggi), tanto che pare sia venuto alle mani con Tom Hardy, fantastico come al solito - l'interprete di Fitzgerald (il 'cattivo' che lascia indietro il protagonista). Hardy, poi, ha la straordinaria capacità di inserire una certa dolcezza nei suoi personaggi: Fitzgerald non riesci mai ad odiarlo, è lui la vera vittima della frontiera, non gli indiani.

The Revenant di  Alejandro González Iñárritu

Lui, per sua stessa ammissione, non vive, ma sopravvive. Per sopravvivere in un posto come quello si è costretti a sopportare una brutta infanzia, farsi strappare lo scalpo dagli indiani, lasciare indietro un compagno morente. Una sublime interpretazione, fatta di preparazione fisica e psicologica. Avrebbe potuto essere al centro dell'attenzione, nonostante il ruolo da comprimario, se il protagonista non fosse stato interpretato da Leonardo di Caprio e dal meme che su di lui creato la rete, l'attore che non vince mai l'Oscar.

Nessuno si chiede se è stato bravo o no, tutti si chiedono se finalmente vincerà l'Oscar. Di Caprio lo brama da anni, ma viene costantemente ignorato dall'Accademy ed è costretto a consolarsi a suon di modelle di Victoria's Secret. Stavolta ha fatto i compiti bene. Un ruolo difficile, fisicamente estenuante, per cui ha rischiato la vita in un paio di occasioni, cose che piacciono ad Hollywood. Ha vinto il Golden Globes e i C ritics Award (entrambi, premi scelti da giornalisti del settore) e ottenuto la candidatura all'Oscar come migliore attore protagonista. Per questo ruolo se la meriterebbe anche, è stato davvero un lavoro difficile che lo ha impegnato tantissimo. Ma la verità è che non sarebbe giusto premiarlo per questo ruolo, almeno non dopo Wolf of the wall street.

Il film è un buon film, non un capolavoro. Soprattutto lo sconsiglio fortemente a chi è impressionabile: quando dico che è crudo e brutale, lo è per davvero.


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