Magazine Cinema
di David Michod
con Guy Pearce, Robert Pattison
Australia, 2014
genere, drammatico
durata, 100'
Frutto di una cinematografia che sembra sempre sul punto di diventare una succursale, anche produttiva, della mecca hollywoodiana, pronta a trasformarne il paesaggio in un estensione del suo vorace immaginario, “The Rover” appartiene invece a quella categoria di film che ambiscono a consolidare l’identità del cinema australiano. In primo luogo perché il regista, David Michod, dopo il successo di “Animal Kingdoom” continua a rimanere radicato alle proprie origini, immaginando storie e personaggi che sembrano nascere direttamente dalle viscere dell’outskirt continentale. E poi, non meno importante, per la scelta di ambientare la vicenda del film in quello stesso desertoche ha ispirato i lavori di due colleghi come Peter Weir (Picnic ad Hanging Rock), e soprattutto del George Miller di "Mad Max", di cui “The Rover” riprende non solo ambientazione e straniamento ma anche lo scarto temporale, collocando la sua vicenda in un futuro se non post nucleare, sicuramente apocalittico.
Siamo quindi in un tempo imprecisato e all’interno di una civiltà che sembra essersi sfaldata sotto i colpi di un’oscura malattia. Vite ridotte all’osso e parole che escono a stento. E' più o meno così che si presentano Eric, vagabondo senza arte ne parte interpretato da uno straordinario Guy Pearce, lesto a scatenarsi all’inseguimento dei balordi che gli hanno rubato la macchina, e Reynolds, impersonato da uno stralunato Robert Pattison, pronto a dargli manforte nonostante i vincoli famigliari che lo legano ai fuggitivi. Il film è tutto qui, nel senso che la caccia all’uomo non manca di colpi di scena, inseguimenti e sparatorie da ultimo ibrida western e road movie. Ma quello che conta si trova soprattutto nella rappresentazione di un afflizione che non risparmia nessuno e nelle dinamiche relazionali che ne scaturiscono Se la famiglia, o quello che ne rimane, è la causa principale di un disfacimento morale che rende gli uomini simili agli animali – e in questo senso l’ultima scena la dice lunga su chi, tra questi, preferisca il regista- “The Rover” sfida le regole del genere perché a dispetto del suo incipit rinuncia a qualsiasi progressione psicologica, arrivando alla fine senza di fatto aver operato uno scarto rispetto alle condizioni di partenza. A guadagnarci è sicuramente il fascino dei personaggi, avvolti da un alone di mistero che riguarda soprattutto le motivazioni che li hanno portati a tale disperazione, come pure la potenza del paesaggio, chiamato a sostituire quella reticenza con una desolazione che rimanda all’interiorità dei protagonisti. Al contrario della storia che, privata di ogni possibile aggancio che non riguardi lo sviluppo del piano criminale, diventa schematica e perde in parte le caratteristiche mitiche ed evocative messe in mostra negli scampoli iniziali.
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