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Apparentemente però.
Perché nelle sue pieghe "The Salvation" il classicismo tende proprio a storpiarlo, a miscelarlo con nuovi componenti e a riproporlo come fosse un qualcosa di diverso, simile ma non uguale all'originale.
A rendere lo scontro tra Mads Mikkelsen e il villain temutissimo di Jeffrey Dean-Morgan qualcosa di leggermente inedito infatti sono le loro caratterizzazioni, che fanno del primo, ex soldato, un assoluto immigrato (testuale) da sacrificare, e del secondo una personalità fuori di testa, totalmente rovesciata dagli effetti psicologici post-guerra. Dettagli che ovviamente col western centrano, ma messi a fuoco con una nitidezza inconsueta, ingurgitati e accettati comunque dal genere, senza cambiarne né le sorti o lo svolgimento, modificando quindi solo un tantino l’ossatura solidissima e contribuendo ad essa, se non freschezza, almeno quel minimo di modernità alla quale coadiuva una fotografia tutt'altro che sbiadita, necessaria a evidenziare il processo di spolvero e ristrutturazione.
Piccole mosse, insomma, che in principio dovevano servire a rendere la pellicola di Levring un prodotto distinto in mezzo agli altri, ma che invece, colpa di un all'allestimento un po' approssimativo, steccano la prova perdendosi rapidamente nel vuoto.
Preso dalla manovra di proporre un'idea più libera, accattivante e progettata per fare la differenza, “The Salvation” perde attenzione verso l'intero resto che avrebbe dovuto obbligatoriamente fungere da muro maestro e sorreggere sue pareti e assi. Nel suo processo di lutto, dolore e vendetta Mikkelsen non viene mai davvero accompagnato, compreso o raccontato, e lo stesso vale per il suo nemico, rilegato a una macchietta priva di consistenza e valore. Anziché sprintare allora arranca nel gestire l’ingranaggio Levring, dimenticandosi di poter contare anche su co-protagonisti non da sottovalutare come Eric Cantona ed Eva Green: due figure inquadrabili ipoteticamente da molte prospettive, eppure ai fatti lasciate un po' sullo sfondo, fine a se stesse, riprese solamente a tempo scaduto quando le cartucce da prendere nello zaino sono praticamente quasi esaurite. Allestire una scena con loro al centro, magari permettendo alla muta Green di sfogarsi a gesti circa il suo passato e presente, poteva certamente esser d'aiuto, così come far gigioneggiare moderatamente un Cantona, temibile si, ma unicamente a pelle.
Resta quindi una giostra indecisa tra divertimento puro e accenni di ostentato altro, quella di Levring, che per quanto cerchi di mostrarsi finita e collaudata, non ce la fa a contenere perdite e scricchiolii, che a fine giro, inevitabilmente, vengono annotate e messe a sue spese.
Trailer:
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