Inutile girarci intorno, vinto l'Oscar Michel Hazanavicius aumenta le ambizioni. Da quelle limitate e pluripremiate di "The Artist" passa a quelle elevate e pericolose della seconda guerra di Cecenia, seguendo le tracce di un bambino scampato alla tirannia dei russi, concentrato a proteggere la sua infanzia da un destino apparentemente segnato e violento.
Nasce per essere quindi qualcosa di davvero imponente "The Search", con una struttura corale e dilatata da cui innalza le basi per un racconto tanto aspro quanto accusatorio. Narra di una guerra ingiusta Hazanavicius, provocata dalla Russia e sofferta dalla Cecenia, una guerra in cui l'Europa preferiva fare orecchie da mercante e con cui empatizzare i dolori e le afflizioni attraverso il volto impaurito e irresistibilmente tenero del piccolo protagonista Hadji, una scelta di casting fondamentale la sua, considerando quanto il piacere della sua faccia paffuta aiuti non poco il procedere della pellicola.
Un procedere che tuttavia, nei suoi centotrenta minuti, arranca regolarmente, per niente sorretto da argomenti e sottotrame abbastanza rigide, in grado da sostenere le aspirazioni e il peso specifico di una tematica tanto vecchia quanto ormai sciupata e che sicuramente non trova in questa ennesima riproposizione quell'ossigeno fresco e indispensabile di cui aveva bisogno. Il personaggio chiave interpretato da Bérénice Bejo infatti, anziché fungere da medicina rivitalizzante per la sceneggiatura, riesce a diventare per "The Search" un ulteriore peso da gestire, incapace di funzionare sia per quanto riguarda il rapporto con il bambino finito sotto la sua ala protettiva e sia per il frangente legato alla sensibilizzazione politica del conflitto, inizialmente considerata importante, e poi finito chissà come ai margini della trama.
La sensazione allora è che Hazanavicius fatichi proprio nella gestione dei vari fili che lui stesso decide di tessere, quelli che poi, ad ogni passo, fatica a ritrovare o a tenere stretti nelle mani. Un compito che lo impegna oltre il dovuto e che gli impedisce di vedere chiaramente la mancanza di respiro e di pulsazioni che la sua pellicola subisce, inviando a intervalli irregolari anche alcuni accenni di svenimento. Persino lo spunto parallelo del ragazzo russo obbligato alle armi, per quanto meglio delineato, ostenta legnosità ed affanno, blocchi evidenti che non possono essere rimossi neppure dall'evoluzione degli eventi, visto che, come prevedibile, si finisce sempre per avvinghiarsi allo stereotipo classico di una guerra che distrugge l'umanità interiore e trascina comoda ai confini della pazzia.
Mette in evidenza ogni suo limite perciò Hazanavicius, ogni perplessità che già con "The Artist" aveva seminato e a tratti lasciato intravedere. Un regista senz'altro scaltro, che sa come addolcire lo spettatore facendogli credere di avere assistito a qualcosa di più grande rispetto a quello che veramente è stato. Un illusionista, diciamo, illuso lui stesso dalle proprie capacità, ma che per fortuna "The Search" riporta dritto al suo posto.
Che non è minimamente nell'olimpo dei migliori, ma indubbiamente nell'arena dei modesti.
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