UK, 90 minuti
Regia: Paul Hyett
Sceneggiatura: Paul Hyett, Conal Palmer,
Adrian Rigelsford
Soggetto: Helen Solomon
È diventato difficile fidarsi della scena
horror odierna, sono tanti e troppi i tentacoli con cui la macchina cinematografica
ha soffocato idee, spunti e soluzioni sovversivi plasmando ogni cosa secondo
modelli prestabiliti che nulla hanno da offrire, e affrontare un rape &
revenge nel 2013 è cosa forse ancora più sospettosa e piena di pregiudizi,
abbiamo in fondo a che fare con la matrice femminile che più di tutte è stata
scardinata e sventrata in favore di pseudo servilismi mascolini del tutto
slegati dalla visione fortissima e annichilente che il genere aveva nei suoi
anni d’oro. The Seasoning House non recupera quella potenza devastante,
né è realmente in grado di creare una figura femminile che incarni pienamente
quella sofferenza e quella reazione simbolicamente significative, in verità da
una parte gioca abbastanza sicuro sui cliché più noti per dare allo spettatore
l’input necessario e dall’altra ignora qualsiasi tipo di credibilità in favore
di uno spettacolo che tuttavia non si piega mai alle tipiche esigenze di massa
(be’, siamo pur sempre in UK), e il film regge bene il gioco con una certa
personalità che funziona per tutti i 90 minuti.
Non si riesce mai a capire bene se Paul
Hyett cerchi una qualche strada autoriale o se sia più che altro indeciso su
registri e ritmi per far marciare il film, ma The Seasoning House tutto
sommato ha una sua anima valida in una prima parte lentissima ricca di long
take e piano sequenza che seguono la giovane Angel indaffarata in una disumana
quotidianità, quella del bordello slavo in cui è stata rinchiusa e dove si è
ritrovata nei panni di una tuttofare che pulisce le ragazze, le droga e svuota
loro i secchi. Violenza e brutalità rimangono fuori dalle inquadrature per far
prevalere disagio e malessere, Hyett si concentra fortunatamente sulle vittime
negli intervalli tra una crudeltà e l’altra evitando di mettere in mostra quell’orrore
gratuito di cui non serve effettiva visione, e sebbene le carte in tavola siano
molto classiche (la protagonista sordomuta, il dramma familiare, i legami che
si vengono a creare, il ruolo del perfido Viktor e il suo “amore” per Angel),
il rapporto umano è gestito senza insistere troppo, toccando quanto basta,
soffermandosi il giusto per creare le basi alla vendetta che si scatenerà nella
seconda parte.
Ed è qui che The Seasoning House dà
il suo meglio, senza voler per forza indugiare sul dolore e sul disturbo Hyett
preferisce una strada onesta, più godibile per chi guarda e probabilmente più
gestibile per un regista comunque al suo
esordio con un tema difficile che potrebbe trasformare in pura merda da un momento
all’altro: il riscatto di Angel non è mai lontanamente credibile, impossibile
infatti che una ragazzina di un metro e mezzo possa ammazzare decine di
energumeni slavi, ma c’è una buona, a tratti ottima costruzione che inganna e
fa filare una messinscena tra l’altro particolarmente sanguinosa, altro aspetto
che ultimamente pare essere stato messo in secondo piano preferendo una più
svelta ma inutile CGI. L’arrampicarsi di Angel nelle tubature, le coltellate
che infligge, l’immancabile corsa nel bosco e quanto ne consegue sono momenti
così ben congegnati, pur nella loro mancanza di novità, da trasformare The
Seasoning House in una piccola sorpresa che ogni amante del genere,
soprattutto nelle sue forme più piccole e oneste, dovrebbe vedere.
Magazine Cinema
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