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The Sessions

Creato il 19 febbraio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Anno: 2012

Durata: 95′

Genere: Commedia/Drammatico

Nazionalità: USA

Regia: Ben Lewin

Uscita: 21 febbraio 2013

The Sessions è un film delicato: delicato nell’ironia, delicato nel mostrarci il sesso, delicato nel trattare la disabilità in una delle sue forme più gravi. E, tuttavia, a questa delicatezza fa da contraltare la crudezza della vita, il cinismo di talune, sagaci battute, la ruvidezza del corpo – sia esso un corpo disabile o non, un corpo che fa sesso o no.

La crudeltà della realtà, in The Sessions, viene stemperata e sublimata dalla poesia. Solo la poesia e la forza delle parole permettono di andare oltre il becero dato reale e mostrarci il bello e il meraviglioso anche laddove i nostri occhi stanchi e troppo disattenti vorrebbero chiudersi.

La poesia è la cifra stilistica di questo film particolarissimo, silenzioso, che si insinua nella pelle e nel pensiero dello spettatore quasi in maniera invisibile, senza chiedere permesso. Mark O’Brien è poliomielitico: la malattia gli permette di muovere solo il collo e lo costringe su una lettiga o dentro un polmone d’acciaio. Mark è un poeta e le parole che gravitano nella sua mente lo salvano dal suo stato.

A causa della sua malattia, Mark non ha mai fatto sesso; decide così di perdere la verginità, per essere uomo, per diventare grande. Ma, soprattutto, per poter liberare il proprio corpo da qualsiasi paura, remora o regola. Per questo, ingaggia una terapista sessuale che lo aiuta nel compito – conoscere il suo corpo e il corpo altrui.

John Hawkes ci regala un’interpretazione da brivido, corpo piegato, occhi sbarrati sul mondo e delicatezza nelle iridi; Helen Hunt è toccante e commovente nel ruolo di Cheryl, la terapista, anche lei messa completamente a nudo e indagata e inquadrata in ogni recesso.

Ciò che emerge non è né la disabilità, né la normalità, se così possiamo definirla. Il film insiste su un registro di realtà che, più che dividere, unisce: così, la realtà non ci viene presentata per compartimenti stagni (“sano”, “malato”, “disabile”, “normale”), ma per ciò che realmente è, cioè un flusso di persone, cose, avvenimenti, corpi. In questo flusso non è possibile dire chi sia “normale” e chi “diverso”: tutti sono diversi e tutti cercano di superare tale diversità per condividere con l’altro qualcosa di profondo. Il corpo che invecchia di Helen Hunt è particolare quanto quello piegato e magro di Mark; allo stesso tempo emergono il corpo massiccio e villoso del marito di Cheryl, il corpo sodo e splendente di Susan, il corpo intellettuale di Vera, il corpo sui generis di padre Brendan (un fantastico William H. Macy), un prete che fuma, beve, fa jogging e consiglia di fare sesso.

I corpi sono corpi, ognuno con le proprie diversità – nessuno può essere etichettato. Ciò che fa la differenza è la carezza, il bacio, l’abbraccio: solo toccando sinceramente si superano le barriere. Solo accarezzando un corpo poliomielitico con affetto si supera la mera incombenza di doverlo accudire e lo si rende un corpo vivo e “normale”: cioè un corpo che supera le proprie barriere e che si mostra per ciò che è.

Ben Lewin sceneggia un film che sa arrivare. Non punta tanto sulla coerenza della trama o sulla forza della sceneggiatura, che a volte appare debole; preferisce, piuttosto, mostrarci la vita di Mark per brevi quadri incisivi, in cui l’immagine più realistica si alterna a quelle più liriche. Ogni frammento è pregno di senso, un senso fragile e sincero, ma che arriva in profondità.


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