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"There should be no boundaries to human endeavor. We are all different. However bad life may seem, there is always something you can do, and succeed at. While there’s life, there is hope."
Preso dagli studi di dottorato, circondato dall'affetto degli amici e sul punto di innamorarsi della coetanea Jane Wilde, il ventenne cosmologo Stephen Hawking sfreccia in bicicletta per le strade dell'amata Cambridge con la spensieratezza di chi ha davanti a sé tutto il tempo del mondo: comincia così The Theory of Everything (La Teoria del Tutto) di James Marsh, presentandoci il biglietto da visita di una mente brillante che a differenza di altri illustri colleghi portati sul grande schermo non ha mai guardato alla società con misantropia e smarrimento, reagendo alla scoperta della malattia muscolare degenerativa destinata a distruggere il suo corpo con una battaglia per la libertà che solo la forza di un'anima altrettanto tenace e determinata avrebbe reso possibile.
Sicura dei suoi sentimenti quanto della sua fede in Dio, Jane volle Stephen a qualunque condizione, cercando il matrimonio con quel coraggio misto ad incoscienza che solo la gioventù riesce a generare: un'unione che iniziò come una sfida in faccia alla morte e proseguì anno dopo anno, cercando di resistere alla crudele monotonia del dolore con la sola protezione di una casa e una famiglia costruite e tenute in piedi con immane pazienza e forza d'animo.
Fra un sorriso sghembo e l'altro, pranzi domenicali e gite al mare, la parvenza di normalità inseguita dagli Hawking si respira affannosamente in una lunga serie di filmini di famiglia che lascia fuori quadro le venature più rabbiose del rapporto fra i veri protagonisti, ma non rinuncia a svegliare il fantasma di un rapporto rimasto in piedi in nome della pietà e del senso del dovere: l'unico modo per salvare quell'amore che tanto aveva potuto e comandato è aiutarlo a farsi da parte, rinunciando al lieto fine per il bene di ciò che è stato e che in altre forme potrà ancora essere.
In un gioco frequente di primi piani spezza cuore e panoramiche solitarie che mettono tristemente a fuoco lo straziante decorso della malattia, Marsch dirige con tocco gentile e malinconico una pellicola che commuove e conquista grazie alle grandi prove di Eddie Redmayne e Felicity Jones: il lavoro di mimesi e aderenza del primo è pressoché totale ma la collega non è da meno, nel sottile ritratto di una donna pronta a qualsiasi sacrificio senza però mai smettere di essere se stessa.
Tratto dal libro di Jane Hawking, The Theory of everything rinuncia all'opportunità di approfondire le rivoluzionarie teorie dello scienziato così come la stretta correlazione fra la degenerazione fisica e il raggiungimento della gloria accademica, trovando però nel punto di vista strettamente "domestico"qualcosa di più importante: la storia del viaggio di due persone, punti lontani in uno spazio infinito che attraverso il tempo e lo spazio hanno scelto di percorrere insieme il loro cammino, realizzando nella perseveranza della vita stessa una divinità inaspettata.
Leggi su cinefilos.it: La Teoria del Tutto recensione del film con Eddie Redmayne
Hawking vs Hawking: per quanto mi riguarda, The Theory of Everything aveva un pericolosissimo rivale in Hawking, produzione televisiva realizzata dalla BBC nel 2004 con protagonista Benedict Cumberbatch. Chi ha ottenuto il miglior risultato? Direi che possiamo assumere con tranquillità che i due film inseguono obiettivi troppo diversi per intavolare un vero confronto, considerato il desiderio del primo di raccontare i 25 difficili anni di matrimonio di Jane e Stephen e il soffermarsi del secondo unicamente sul momento della scoperta della malattia e sulle teorie che il Professore elaborò con passione nei primi anni a Cambridge. Diverse anche le performance di Eddie Redmayne e Benedict Cumberbatch, entrambe eccellenti se pur modulate su registri inevitabilmente diversi.
Doctor Who: mi dispiace moltissimo per tutti gli ignari che non riconosceranno la citazione da Doctor Who. Come dire, EXTERMINATE!
Goldenglobometro/Oscarometro: pur con rammarico e notevole sorpresa per la mancata premiazione di Benedetto per The Imitation Game, la straziante prova di Eddie ha senza dubbio meritato così come la colonna sonora di Johann Johannsson, romantica e malinconica. Peccatissimo invece per Felicity Jones, sconfitta da un'inarrestabile Julianne Moore. Probabilità per l'Oscar? Considerata l'ascesa del Birdman di Michael Keaton e la solidissima Moore, moooooolto poche.
Closing Credits: nonostante l'ottimo Johannsson, la scena più bella del film è stata affidata a The Cinematic Orchestra che con la loro Arrival of the Birds & Transformation sfidano il pubblico a trattenere lacrime e singhiozzi: uno dei momenti più emozionanti di quest'inizio 2015.
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