Magazine Cultura
"Unless you love, your life will flash by."
Una sala vuota e silenziosa per 10 coraggiosi avventurieri : quasi un viaggio in solitaria quello che in pochi abbiamo intrapreso con "the tree of life" di Terrence Malick , vincitore della Palma d'Oro a Cannes e lungamente atteso sin dall'uscita del sorprendente trailer .Quando il cinema veste a lungo i panni di un divertente e costoso giocattolo alcuni dimenticano l'altra faccia della medaglia , meno roboante e appariscente eppure fondamentale : l'essere mezzo di comunicazione e espressione di un'arte , capace di filtrare pochi frammenti di vite per immagini e di amplificarle su un piano universale , rendendole parte di noi e di quello che siamo , eravamo e saremo .
L'albero della vita di Malick è un'opera dicotomica , immensa e indefinibile , macrocosmo e microcosmo , odio ed amore , vita e morte , gioia e sofferenza , semplicità ed egocentrismo , ciclo ineluttabile dell'esistenza che cerca e trova in Dio , pittore dellle meraviglie del creato e autore di un disegno sconosciuto , l'unica via contro il dolore . La famiglia O' Brien , fragile equilibrio costruito sulla dolcezza dell'eterea e ultraterrena madre di Jessica Chastain e sulle dure maniere dell'autorevole e insoddisfatto padre di Brad Pitt è solo un pretesto , una porta dischiusa su un'umanità che si fa piccola e impotente dinanzi alla nascita dell'universo : l'unica cosa da fare è percorrere il cammino , pur nella consapevolezza di essere solo di passaggio su questa Terra , anche se smarriti e disorientati dalla sofferenza , dalla malattia e dalla solitudine e avendo come punto fermo quella natura silenziosa e sempre in movimento , talmente perfetta da non potere essere altro che la testimonianza visibile della grazia divina , flebile fiammella che illumina ogni cosa .
Una vera e propria cosmogonia , dall'origine del mondo alla fine dei tempi , che trova il suo punto debole nel suo essere antinarrativa e sconfinata , incapace di chiudere il cerchio su protagonisti che senza una trama compatta finiscono per scivolare via , come acqua che cade dalla cascata , ombre in un progetto troppo grande e ambizioso : l'intera e spettacolare sequenza dell' origine dell'universo , pur sorretta dalla commovente lacrimosa di Zbigniew Preisnersi dimostra ostica e superflua togliendo tempo e immediatezza all'emozione , intrappolata sotto una lastra di vetro che in compenso restituisce una purezza d'immagini -straordinario il lavoro del direttore della fotografia Emmanuel Lubezki - esteticamente supefacente ; la nascita dell'universo sarà anche grandiosa , ma per uomini che vogliono trovare sé stessi e la propria anima il miracolo della vita è decisamente più evidente nella piccola , incredibile perfezione del piedino di un neonato o di un bambino che comincia a parlare e a gattonare -ripresi con una dedizione una delicatezza mai viste - che in qualsiasi Big bang , meterorite o dinosauro.
Servendosi come nei suoi precedenti lavori di un uso Kubrickiano della musica classica per scandire i momenti più intensi della pellicola - resta comunque un peccato che non siano stati usati gli splendidi walzer di Alexandre Desplat appositamente composti per la colonna sonora - , Terrence Malick ci lascia un manifesto di vita che sarà più difficile da comprendere per il pubblico non credente , ma che va rispettato e apprezzato come sua personalissima e sentita visione dell'intero essere .
Un film che un è un film ma pura sperimentazione, un'esperienza sensorialmente necessaria e affascinante , un percorso che si interroga su questioni eterne e irrisolvibili , ma che ritornano con insistenza alla mente e al cuore , parte della nostra umanità e impossibili da dimenticare .
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