The Tribe
di Myroslav Slaboshpytskiy
con Grigoriy Fesenko, Yana Novikova, Rosa Babiy,
Ucraina, 2014
genere, drammatico
durata, 130'

Conosciamo a memoria la retorica della malattia di
matrice hollywoodiana e di come l’industria cinematografica l’abbia
sfruttata per costruire progetti in grado di accattivarsi l’empatia
dello spettatore, prostrato e insieme commosso da una miriade di
interpretazioni strappalacrime. Uno schema talmente consolidato da
indurci a pensare che non ci fosse altra possibilità di sguardo e di
considerazione; fino all'uscita di due opere che nell'ambito di una
stagione comunque normalizzata dalla presenza di prodotti
accondiscendenti e rassicuranti ( "La teoria del tutto") il coraggio di
raccontare la disabilità da un punto di vista non necessariamente
conformista. Del polacco "Io sono Mateusz"” avevamo già parlato in
occasione della sua uscita nelle sale italiane, mentre di “The Tribe”
conoscevamo il clamore suscitato durante l’anteprima avvenuta
nell'edizione di Cannes della scorsa edizione. In quel frangente, a
scuotere la routine festivaliera era stata non solo la scelta di
presentare senza alcun sottotitolo un film interpretato da attori non
udenti e quindi decifrabile solo da chi fosse stato a conoscenza del
linguaggio dei segni utilizzato dagli attori; a destare scalpore era
stato piuttosto la visione cruda e senza alcuna mediazione della
diversità fisica, asciugata da qualsiasi enfasi pietistica e invece
descritta come valore fondante, e diremo discriminante, di un sodalizio
dedito a qualsiasi tipo di violenza e aberrazione. Il film di Myroslav
Slaboshpytskiy racconta le giornate di un istituto per sordomuti e di un
gruppo di studenti che nelle ore extrascolastiche organizza una serie
di azioni criminose che, alla pari di una qualsiasi struttura
malavitosa, sono il risultato di una struttura clanica perfettamente
gerarchizzata quanto efficace nel mettere in piedi attività illecite che
vanno dalla vendita illegale al latrocinio e persino alla
prostituzione, realizzata con la collaborazione di alcune coetanee a dir
poco generose.

Alla stregua di in un dramma shakesperiano “The Tribe” segue l’ascesa
e la caduta di quel “regno” descrivendone le leggi e i meccanismi che
lo regolano in una modo che si avvicina a quello usato da Martin
Scorsese per raccontare la "sua" Little Italy. A fare la differenza in
questo caso non è solo l’estetica, dominata dalla ferinità dei corpi e
da una messa in scena scarna, in cui a colpi di piani sequenza (fissi e
mobili) protagonisti e ambiente vengono refertati da una
mdp
che lavora con precisione da entomologo. Diversamente dalla maggior
parte dei prodotti in circolazione “The Tribe” non impone alcuna censura
ai suoi criteri di rappresentazione, filmando un viaggio all'inferno
che non arretra neanche quando si tratta di mostrare in tutta la sua
drammaticità i dettagli di un aborto illegale che fa sembra quello di “4
mesi, 3 settimane e 2 giorni” una versione per educande. Slaboshpytskiy
è bravo a realizzare lo scarto che permette al film di spostare
l’interesse del pubblico sugli aspetti sociali e antropologici della
vicenda, mettendo in secondo piano le peculiarità del linguaggio che
entrano in gioco non più come denuncia di una menomazione fisica ma come
segno distintivo di un' alterità che la gang di giovinastri persegue
con scientifico accanimento.

Coercitivo e discutibile ma non per questo
meno interessante - soprattutto nella decisione di collocare la violenza
proprio nel cuore del sistema educativo che fa di tutto per bandirla -
“The Tribe” deve molto al suo andamento circolare, fatto di escursioni
che, ritornando ogni volta al punto di partenza -rappresentato dalla
casa istituto - ne circoscrivono il campo d'azione, isolandolo dal resto
del contesto. La conseguenza, invero paradossale per il realismo del
contesto, è un livello d'astrazione che amplia i significati della
vicenda. Basti pensare alla fatiscenza degli ambienti, decadenti e
rovinosi, e alla visione materialistica dell'esistenza, giustificata
esclusivamente da principi mercantili e di sopraffazione, per capire
quanto "The Tribe" sia lo specchio di quello che accade in questi giorni
in Ucraina, paese produttore di un film che vale la pena di andare a
vedere.