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The Tribe

Creato il 12 giugno 2015 da In Central Perk @InCentralPerk
Andiamo al Cinema
Dici film muto e pensi al cinema anni '10 e anni'20, il cinema degli albori, del bianco e nero, dei gesti esagerati di attori chiamati ad esprimere con le loro espressioni tutte le gamme delle emozioni, con le donne che si aggrappavano alle tende, con gli occhi grandi di Keaton, i baffetti di Chaplin.
Dici film muto e pensi a The Artist, a quell'operazione da Oscar (riuscita) in cui a quel cinema si è voluto riportare un pubblico non più abituato alla tanta colonna sonora di sottofondo, ai cartelli didascalici, a gesti e movenze d'altri tempi.
Dici film muto e non pensi mai a un film muto, a film di muti, in cui non è la mancanza di una tecnologia o un vezzo stilistico a decidere della mancanza di parole presenti.
Questo fino a The Tribe, fino a che il regista Myroslav Slaboshpytskiy non ha deciso che dei protagonisti sordo-muti fossero quelli da mettere davanti la macchina da presa, fossero le persone giuste per mettere lo spettatore in una posizione nuova, attiva e scomoda, chiamato a riempire buchi e silenzi.
Non c'è una parola, non c'è un sottotitolo, ci sono solo tanti gesti, enfatizzati, che rendono più complessa una storia scabrosamente semplice.
The Tribe
La storia è quella di Serhiy (il cui nome si scopre solo con i titoli di coda, non essendo mai pronunciato), nuovo arrivato all'interno di un decadente istituto per ragazzi sordomuti dove la fatiscenza esterna è metafora di quella di interna: non vediamo mai le lezioni, non vediamo mai gli insegnanti se non in atti poco educativi, quello che vediamo è ragazzi lasciati allo sbando, bullismo che imperversa, loschi giri pure.
Serhiy si farà risucchiare da questi, pur vagando con la sua valigia e il suo zaino da una stanza all'altra, Serhiy riuscirà ad entrare nelle grazie del boss e dopo un'iniziazione a suon di botte, ad occuparsi della prostituzione delle belle Anna e Svetka, visto il posto rimasto vacante.
La sua discesa in questo inferno è veloce, non ha fermate. Quello che lui crede amore, lo compra, e ne vuole sempre di più, sempre di più da una Anna che invece è stanca, soffre, e pur provando con lui uno dei pochi piaceri rispetto a quello che un camionista qualunque non le può dare, non lo vuole. Quello che lei vuole è partire per l'Italia, forse non tanto per scoprire il bel Paese, ma semplicemente per andarsene da lì.
Sarà disposta a tutto per farlo, tanto quanto Serhiy sarà disposto a tutto per vendicare il suo orgoglio ferito.
The Tribe
Un'educazione sentimentale di quelle forti, un'educazione e una crescita che non ci risparmia niente: l'handicap di cui sono affetti questi protagonisti non li rende degni di pietà, perchè ogni loro gesto è impietoso. Li vediamo pestare a sangue (o a morte?) un passante, li vediamo prostituirsi, tiranneggiare senza rimorsi. Niente ci è risparmiato di tutto questo, nel silenzio glaciale di chi è senza possibilità di urlare, la regia indugia, si sofferma anche troppo su tutte queste brutture, su una peggio gioventù che sicuramente, con o senza parole, con o senza udito, da qualche parte c'è.
Solo in due casi ci ricordiamo della loro fragilità, della loro caducità, quando un incidente all'apparenza evitabilissimo fa fuori uno di loro, e quando finalmente ma purtroppo sentiamo una parvenza di voce, sentiamo un pianto che sembra un grido disperato per un'operazione che non si riesce a guardare, figurarsi a sentire.
Immersi in questo silenzio, in cui solo rumori di fondo la fanno da padrone, ad emergere è però un dubbio: quanto di tutto questo è provocazione? quanto è sostanza? dove si ferma il limite artistico tra questi due poli?
Osannato dalla critica tra cui anche il provocatore Darren Aronofsky, presentato e premiato a Cannes lo scorso anno, la vera certezza di The Tribe è che non può lasciare indifferenti, che lì dove la macchina da presa sta ferma, lì dove i gesti e una recitazione enfatizzata cercano di far capire, lì lo spettatore deve decidere, ma non può sicuramente rimanere indifferente.
The Tribe
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