Filmetto honkonghese del ’93, dall’improbabile titolo originale (Baat sin faan dim ji yan yuk cha siu baau) diretto dall’anonima coppia Danny Lee – Herman Yau.
Molto conosciuto (e apprezzato) dagli afecionados dello splatter orientale, la pellicola vive più per il passaparola selvaggio che per ciò che in realtà è.
Di non detto come da titolo non c’è niente, anzi l’efferata crudeltà dell’assassino, ma non solo, viene ovviamente mostrata con dovizia di particolari. Il gore c’è, ma c’è anche qualche pezzo di manichino che dovrebbe essere un avambraccio umano, e in generale un’attenzione quasi amatoriale agli effetti speciali. Da qui probabilmente deriva l’aura cult che circonda il film, ma a distanza di circa vent’anni The Untold Story suona esteticamente un bel po’ consumato.
Particolare la scelta di coniugare comicità e brutalità. Se da una parte le gag comiche della polizia spezzano l’andazzo truculento che avrebbe sminuito ancora di più il film, dall’altra è anche vero che le suddette scenette sono di un umorismo che tocca la demenzialità. Pur strappando a fatica qualche mezzo sorriso, la banda di poliziotti così rappresentata è uno stuolo di stereotipi viventi: l’ispettore latin lover, l’agente palestrato che vorrebbe imitarlo, la collega che cerca di essere donna e altre due macchiette bidimensionali. Aspettarsi introspezione in un film del genere sarebbe sbagliato, però un briciolo di fantasia in più non sarebbe stato un delitto.
E a proposito di delitti, vera crème della pellicola, in generale sono molto crudi, anche rozzi contando una cameriera che vede finire nella sua vagina un paio di bacchette cinesi. Ma soprattutto politicamente scorretti con il massacro finale in cui a perdere la testa (in senso figurato) non è solo Wong ma anche sette bambini la quale testa viene staccata veramente, a colpi di mannaia.
La cosa che io dico è che se un’opera diventa “famosa” solo per i suoi scotennamenti mi pare ci sia qualche mancanza. Si avverte di come poi tutto sia costruito per sorreggere ed erigere l’eccidio familiare conclusivo, che poi è l’unica sequenza che urterà seriamente la vostra sensibilità, d’altronde quando ci sono di mezzo dei bambini è difficile restare cinici. Quindi tutto il resto appare come un pretesto gratuito per mostrare un po’ di sangue, in ogni caso ampiamente digeribile per chi mastica il genere. A parte il flashback finale, come detto.
The Untold Story è stato classificato come CAT III (sistema di censura che vige ad Honk Kong) al pari di Ricky-Oh (1991). Ma se dovete scegliere buttatevi senza esitazioni sul secondo, decisamente più divertente e buffo, quando si dice intrattenimento.