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The vampyre - Polidori

Da Aubromio
The vampyre - Polidori   Il tema del vampirismo ha avuto sviluppi sensazionali, in tutta la cultura mondiale, tanto che tutti noi oggi conosciamo una certa immagine del vampiro.   Quest'ultima si è evoluta molto dalle sue origini, che fuse con immaginazione e storie della tradizione popolare, il vampiro appare oggi come un qualunque personaggio con i più disparati super poteri.   Letterariamente, non fu affatto concepito così. Anzi, si potrebbe aggiungere che di super poteri non ve ne era proprio traccia. E' erronea la concezione di attribuire la paternità letteraria di questa creatura all'americano Bram Stocker, autore del celeberrimo “Dracula”, che ormai è sinonimo di vampiro.   Quella di Stocker è una creatura di mediazione dalla fantasia di chi lo ha preceduto e una ricerca accurata nella tradizione popolare dell'est europeo, dove la credenza ai non morti è più radicata tutt'oggi. L'introduzione nella letteratura della figura del vampiro porta la data del 1816 ( “Dracula” è del 1897).  
   In quella estate piovosa, in villa Deodati, a Ginevra, i presenti trascorrevano il tempo a leggere novelle di fantasmi e del terrore tratte dalla raccolta tedesca Phantasmagoria. Fu poi indetta una competizione tra quei quattro: scrivere la propria storia del terrore.   I presenti a villa Deodati sono nomi piuttosto illustri della letteratura inglese: George Byron, Percy Bysshe Shelley, Mary Shelley, sua futura moglie e John William Polidori, medico personale del poeta Byron. La gara che sembrava una competizione tra i due poeti, diede inaspettatamente maggior spazio agli altri due nomi: in quest'occasione, la Shelley iniziò il suo capolavoro, “Frankenstein”, mentre il dottor Polidori, medico letterato figlio del segretario di Vittorio Alfieri, scrisse “Il vampiro”.   Il breve racconto, al tempo della sua pubblicazione, nell'Aprile del 1919 sul New Monthly Magazine, fu attribuito al benefattore del medico, che ne disconobbe la paternità per molto tempo. (nell'edizione del 1820 delle opere in volume di Byron era ancora presente il racconto).   Polidori non conobbe la fama letteraria in vita, e per varie delusioni anche professionali, si pensa che morì suicida con un veleno di sua composizione, nell'Agosto 1821, ma non è notizia certa. Byron commentò così la sua scomparsa:
 Ecco, il povero Polidori se n’è andato! Quando era il mio medico, parlava sempre di acido prussico… di misture velenose; ma per fini diversi da quelli del re del Ponto, poiché egli si è prescritto una dose da uccidere cinquanta Mitridati
Il valore di questo racconto non è tanto in se stesso (la trama è alquanto scontata e non c'è gran che di memorabile) ma in quello che ha ispirato: il vampiro introdotto da Polidori non è più visto come una ridente belva notturna, ma ha per la prima volta sembianze umane e si camuffa tra la gente.    Il non morto possiede qui un fascino tutto suo, rispecchiando la condizione dell'eroe romantico quanto lo stesso Byron, “bello di fama e di sventura” come scriveva Foscolo, ribelle alla morale collettiva e vincente nel finale (in Dracula verrà invece sconfitto dalla scienza).   Ma anche vien fuori una potente metafora sull'aristocrazia, decaduta ed apparentemente esautorata dei privilegi feudali di un tempo, ma ancora capace di imporre sui deboli il suo giogo terribile.  


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