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The Venice Beach Biennial: la risposta californiana alla Biennale di Venezia

Creato il 22 luglio 2012 da Ilnazionale @ilNazionale

Che agli statunitensi piaccia imitare tutto ciò che sappia di europeo e in particolare che ricordi il bel Paese, è noto. Basti pensare agli stessi nomi delle città, come New York (dall’inglese York), New Orleans (dalla francese Orleans), o Venice, di cui vi parlo proprio oggi. Oltre ai vari canali costruiti appositamente a ricordo di Venezia, i ponti, le villette a ridosso dei canali, le piccole imbarcazioni a vago ricordo di gondole, lo scorso weekend si è svolta la Venice Beach Biennial.  Dal 13 al 15 luglio il famosissimo boardwalk della splendida località balneare californiana, l’Ocean Front Walk, ha ospitato oltre 50 artisti di strada. Curato dall’Hammer Museum dell’Università di Los Angeles (UCLA), questo evento riunisce per tre giornate tutti quegli street artist che ogni giorno vivono, producono e vendono le loro opere sulla riva dell’oceano. Il loro è un vero e proprio stile di vita, che ha molto più da raccontare di quello del white collar man che si incontra ogni mattina nell’autobus per downtown LA.

C’è chi dipinge su tela, chi fotografa, chi scolpisce, chi colora pietre o pezzi di legno, chi costruisce souvenir, chi reinventa i rifiuti per creare nuove opere d’arte. L’arte qui è intesa e apprezzata in senso lato. Non mancano i “predicatori di strada”, i cabarettisti, i chiaroveggenti, i tatuatori, i ballerini, gli artisti circensi che prese dieci persone dal pubblico e messe in fila dimostrano di poterle saltare tutte in volo senza neanche sfiorarle. Il boardwalk di Venice merita più di una visita. E’ un autentico potpourri di persone, idee, arti, sensazioni.

Ognuno di questi artisti ha la sua storia particolare da raccontare e nessuno di loro trattiene la voglia di parlarne. La maggior parte di queste vite singolari non comincia dalla California, ognuno di loro qui ci è arrivato per vie traverse: chi inseguendo un sogno, chi scappando da un altro, chi cercando una via d’uscita da un’altra vita, chi sulla via per trovare se stesso. La California non solo nel nostro immaginario è quel paradiso teso a metà tra la Terra e il Cielo, ma lo è anche per gli americani: è il sogno di tutti. In particolare di chi vive di sogni e ideali, in particolare degli artisti. Non bisogna stupirsi se qui vivono da homeless, senza casa né agi. E bisogna stupirsi ancor meno se di questo sono felici. Sono persone fortunate: hanno trovato nella loro vita quella scintilla per cui vivere; l’arte di cui vivono è il loro sostentamento fisico e spirituale, e di altro non sentono il bisogno. Certo, il pasto gratuito offerto la domenica mattina dalla catena di alimentari Whole Foods è affollatissimo fin dalle prime ore proprio da street artist; ma perché stupirsi? In Italia la fila per i pasti gratuiti (se si può definire “fila”, ma forse è meglio ressa!) è costituita dalla gente più svariata, soprattutto quella che un pranzo può permetterselo. Qui la fila è ben disciplinata e i non-artists sono mosche bianche.

La particolarità di questa Biennial però, non è solo quella di riunire gli artisti di strada sotto un unico “movimento”, ma di portare sulla strada anche quegli artisti che di solito non ci lavorano. E’ l’occasione per mettere a confronto e parificare per tre giorni questi due differenti modi di fare arte e dimostrarne la qualità di entrambi. Solo per citarne uno, ormai divenuto famoso, ma partito anch’egli dal boardwalk di Venice, Arthure Moore con il suo “funky pussy”, il gatto con il dito medio in bella vista: non poteva certo mancare anche in questa occasione.

Martina Napolitano

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