- Anno: 2015
- Durata: 100'
- Distribuzione: Warner Bros Italia
- Genere: Drammatico
- Nazionalita: USA
- Regia: Robert Zemeckis
- Data di uscita: 22-October-2015
Sinossi: Nell’agosto del 1974 il funambolo francese Philippe Petit riesce a realizzare il sogno di una vita. E’ un’impresa impossibile, che fa paura anche solo a pensarci e che, dopo di lui, nessuno avrà più il coraggio di tentare: tendere una fune d’acciaio tra le due torri gemelle del World Trade Center e camminare nel vuoto, per 45 minuti a più di 400 metri da terra, senza alcuna protezione. Con tanto coraggio, ambizione e anche una discreta dose di follia, Petit riesce a superare i limiti fisici e i divieti delle forze dell’ordine e vincere così la sua sfida contro tutto e tutti.
Recensione: Se c’era un regista che poteva portare al cinema l’impresa di Petit (già raccontata, nel 2008, nel bel documentario di James Marsh Man on Wire) con ottime probabilità di portare a casa un risultato eccezionale, quel regista era senza alcun dubbio Robert Zemeckis. Nessun altro, come lui, ha portato avanti negli ultimi trent’anni una riflessione così radicale sulle manipolazioni del corpo e dell’immagine nel cinema. Se ad un occhio distratto, infatti, la filmografia del regista può apparire frammentata e priva di un minimo comun denominatore, in realtà basta andare poco in profondità per comprendere appieno quanto la carriera di Zemeckis segua un filo logico di rara coerenza e che – da Ritorno al futuro fino a Le verità nascoste, passando per Forrest Gump – mostra il perenne tentativo di superare sempre nuove e apparentemente impossibili sfide sul piano del rapporto tra verità e finzione, dicotomia alla base di tutto il cinema che conta fin dagli albori della settima arte. Passaggio fondamentale di questo percorso è la trilogia (Polar Express, La leggenda di Beowulf e A Christmas Carol), da molti erroneamente vista come interlocutoria, con cui il nostro ha estremizzato questo discorso attraverso lo sviluppo della performance capture. Alla luce di quanto detto finora, possiamo solo immaginare quanto ghiotta possa essere sembrata al regista l’occasione di raccontare la folle impresa di un altro sognatore come lui. Uno che ha cercato, riuscendoci, di forzare i limiti delle umane possibilità oltre lo spettro dell’immaginabile.
Fin dalle prime scene di The Walk, infatti, appare anche fin troppo chiaro quanto l’immedesimazione tra Zemeckis e Petit sia totale. Lo prova il fatto che il funambolo non viene mostrato come un personaggio particolarmente sfaccettato, quasi come se il senso del suo vivere fosse tutto racchiuso nella sua missione. Si evince dalla velocità con cui lo vediamo innamorarsi e poi reclutare quelli che saranno i suoi sodali. Sono solo dei particolari, mentre l’unica cosa che interessa Zemeckis è arrivare su quelle due torri e farlo in fretta. Ed è qui che The Walk compie il suo primo miracolo: quando, una volta risolti i preliminari, ci consente di salire su quei grattacieli altissimi e di restarci fino alla fine, dilatando il tempo del racconto a dismisura con la perizia che può avere solo un uomo di cinema per cui l’intrattenimento non ha mai smesso di essere il fine ultimo di qualunque film. L’autore porta così alle estreme conseguenze una riflessione sul digitale e sull’animazione iniziata sin dai tempi di Chi ha incastrato Roger Rabbit e, proprio come Petit, riesce anch’egli in un’impresa: quella di filmare l’infilmabile.
Immagino che, arrivati sin qui, ci si possa legittimamente chiedere se questo The Walk sia o meno il capolavoro che in molti si aspettavano. Si e no. Lo è senz’altro da un punto di vista tecnico. Visivamente rivoluzionario, il film sfrutta tutte le potenzialità del 3D per lavorare sulle profondità dello spazio (di quelle temporali si è già detto) e offrire allo spettatore l’effettiva sensazione della vertigine. Laddove invece lavora meno è sul piano squisitamente narrativo. Stupisce, infatti, che un’opera basata sull’assenza di limiti abbia il proprio maggior limite nel non mostrare mai la paura negli occhi del suo protagonista.In pratica Philipe Petit (un Joseph Gordon-Levitt da Oscar) non ha mai un dubbio né un attimo di tentennamento. Venendo a mancare la paura però, il rischio maggiore è che l’impresa del funambolo possa non essere percepita in tutta la sua eccezionalità.
The Walk di Robert Zemeckis è, in definitiva, un atto d’amore verso New York e un invito a non smettere mai di sognare tecnicamente straordinario e forse giusto un po’ freddo da un punto di vista umano. Ma la visione di The Walk, come per qualsiasi cosa abbia mai fatto Zemeckis, rappresenta comunque un imperativo categorico.
Fabio Giusti