A questo punto, giunti al quarto episodio, mi pare il caso di seguirla tutta. Anche perché questi articoli sono molto letti, segno del giusto interesse verso una serie a suo modo rivoluzionaria.
Perché, non lo nego, The Walking Dead è rivoluzionaria, nel suo porre gli zombie nel mezzo televisivo, nel mostrarceli, quelle rare volte, ogni settimana, come da eoni fanno con Ridge e Brooke. L’abitudine che si crea è identica, come ogni telefilm, ma non so perché con questa serie è più forte. Forse dipende dai miei gusti, chissà…
Strano a dirsi, non mi spaventa neppure l’idea di una terza stagione. Mi diverte, anzi.
Quello che possiamo fare noi è discutere del risultato, di com’è fatta, delle scelte che hanno posto in essere autori e produttori, stando ben attenti e guardinghi rispetto ai giudizi lusinghieri apparsi in giro, su giornali, riviste specializzate e su internet.
Grandi penne si sono prodigate in complimenti verso TWD. Be’, se temessi il giudizio delle grandi penne, non sarei qui a scrivere un blog, questo blog.
Il mio metro di giudizio è semplice: ad alte aspirazioni deve corrispondere alto risultato, oppure il prodotto fallisce. E, se succede, non sempre è perché non è stato capito.
TWD l’abbiamo capito eccome, dopo che l’eco entusiastica de ma il fumetto è meglio (gne gne gne) s’è spenta. L’abbiamo capito da un pezzo.
Quello che ci resta è guardare le velleità di sopravvivenza di questo manipolo di varia umanità. Stare a osservarli, sghignazzare, porre domande. In definitiva, persino godercela finché dura, essendo ben coscienti che, però, non è nulla di eccezionale, ‘sta serie, badando proprio a ciò che ci resta tra le mani, zombie televisivi a parte (quando si vedono). E che non basta farmi vedere uno o cento zombie per guadagnarsi la mia gratitudine eterna.
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[-CONTIENE ANTICIPAZIONI-]
Tredici episodi per questa seconda stagione e, finora, si sono visti, non vorrei sbagliare, quattro o cinque set (ma voi correggetemi pure), esclusa la foresta. Un leit motiv, ferimento del pargolo + presa di coscienza che l’apocalisse è una gran brutta cosa e, sullo sfondo, la bambina scomparsa; una trama che va avanti a incidenti, nel più classico schema del pescare i biglietti delle svolte dal cappello delle idee.
Un interrogativo mi preme, subito dopo aver visto il quarto episodio: ma che, lo fanno apposta?
Potrei persino credere alla precisa volontà degli sceneggiatori di rappresentare un gruppo di persone normali che, trovatesi in una situazione ai limiti, quale può essere l’apocalisse, non sanno che pesci prendere. Ho detto potrei, perché in effetti non ci credo. Questa, comunque, sarebbe la giustificazione per la scenetta andata in onda ieri, quella dello zombie nel pozzo.
Chiariamoci, bella idea; pochi hanno pensato alle conseguenze fisiche su uno zombie rimasto immerso per giorni. Ovvero, gonfiori assortiti, pelle viscida e schifo a più non posso. Bellissima realizzazione, lo zombie è fantastico. Pessima messa in scena. Si cala uno nel pozzo, non vi dirò chi e, naturalmente, lo si fa senza verificare che il sostegno a cui è stata legata la corda sia solido. A guardarlo, infatti, è arrugginito. Ora, non devo essere uno scienziato per capire che se a un tubo arrugginito ci appendo 60/70 chili di un essere umano, il tubo si rompe e l’umano in questione finisce a pesce nelle fauci dello zombie giù nel pozzo.
Ma è proprio quello che succede, con lollosi tentativi di salvataggio e un ancor più lolloso destino beffardo che, in spregio a tutti i tentativi dei nostri eroi di non contaminare l’acqua del pozzo estraendo lo zombie vivo, li condanna a contaminarla lo stesso, con un sommo effetto splatter. You know, Karma is a bitch.
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T-Dog e il vecchio Dale col cappello pulcioso, ormai sono mattatori d’altri tempi. Li adoro. Mi resta un dubbio. Ma come? Si prendono tanto fastidio per non inquinare il pozzo, quando due puntate prima hanno immerso le braccia fino ai gomiti nella panza di uno zombie, senza alcuna protezione? Massicci e duri, come sempre.
Plauso per il siparietto romantico del cinese con la bella allevatrice di manzi. I due si concedono una passeggiata in città per fare acquisti. Lui impacciato come uno scolaretto, lei, tutta d’un pezzo e freddissima, dopo. È stato solo sesso, niente di più. E lo sappiamo, qualcuno di voi si aspettava il contrario?
Shane subisce un contrappasso da girone dantesco. Rasato a zero e costretto a indossare abiti oversize appartenuti al defunto Otis e, non plus ultra, spinto, durante la cerimonia funebre, a fare il discorsetto di commiato. Povero, povero Shane. Roso da un senso di colpa che, adesso, non è più profondo di una riga di sceneggiatura scritta di fretta: Shane – senso di colpa.
In più, c’è la sorpresona. Anche questa per contrappasso, in un mondo che non è più adatto ai bambini, come saggiamente sostiene Lori, cosa accadrebbe se arrivasse un bambino? Ipotesi plausibilissima, senza scherzi o ironie. Meglio sarebbe stato arrivarci senza gli spiegoni delle puntate precedenti, ma ci sono arrivati lo stesso.
E però, devo dire che, almeno questa parte, in quest’episodio, è stata gestita in modo sobrio, ovvero, facendo tacere i personaggi interessati. Non c’è niente da dire, in certi casi. Si può solo agire. O aspettare.
Per ora è tutto. Alla prossima. Non vedo l’ora.
Altri telefilm e puntate precedenti di TWD, QUI