[L'articolo contiene anticipazioni]
Mi risuonano nella mente le parole di un amico: “Non potevo lasciarti senza Sceim”. E poi, la storia dell’unica goccia di sangue… che attira gli zombie come fossero squali.
Fatto sta, che per problemi personali e altri cazzi, avevo deciso di sospendere la visione di The Walking Dead e le recensioni per singolo episodio. Ma è cosa impossibile, perché appena si ascoltano le prime note della soap opera con gli zombie intorno, si è risucchiati di nuovo nel mondo dell’apocalisse brutta, brutta, brutta, in cui è brutto crescere i figli.
Si scopre, però, un dialogo eccezionale, tra circa 135 minuti in totale di questi tre episodi, 8, 9 e 10, quello in cui Andrea prende da parte la sceriffetta e le fa notare che, tra tutti i miliardi di morti e i lutti che TUTTI hanno avuto, lei è l’unica che ha ancora il marito, creduto morto, sopravvissuto a una sparatoria in un ospedale inzeppato di cannibali morti, ha ancora il figlio, sopravvissuto dopo una fucilata che ha passato da parte a parte un cervo adulto, è persino incinta di un altro figlio e, non paga, è la sola che non la smette di lamentarsi di quanto sia brutta, brutta, brutta la situazione. Se non fosse l’apocalisse, mi metterei persino a ridere. E infatti ho riso, per due momenti lollosi, l’incidente d’auto di Lori, che, in un mondo dove non c’è più traffico né persone, investe l’unico zombie impegnato a attraversare la strada, perché intenta a consultare la cartina (e perché non mandare messaggi al cellulare, già che c’è? Ah già, i cellulari non funzionano più), e la rissa dei due amici-nemici i cui versi, mentre si picchiano, non sono dissimili dai grugniti degli zombie; sarà per questo che la trentina di zombie stipati nell’edificio non li ha sentiti…
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Una serie apocalittica parlata. Ormai è sistematico, questi qui parlano, parlano, parlano, anziché rilassarsi come possono e scopare come ricci, per chi ne ha la possibilità. Ma poi mi sovviene sempre Lori che… l’apocalisse è brutta e inadatta ai bambini, ma è quella che scopa più di tutti. Ok, è che mi riesce difficile parlare di certe cose. Specie perché, a parlare, loro sono bravissimi.
Sterminati gli zombie del granaio, i nostri cercano il contatto fisico coi cadaveri, emuli dell’assassino di Phenomena, discutendo, in presenza di venti corpi putrefatti, se sia il caso di seppellirli, muniti dei conforti religiosi, o di bruciarli. E non c’è nemmeno una mosca a ronzare intorno. Non so, bastava mettere qualche merda nei paraggi e di mosche (e di realismo) ne sarebbero arrivate a milioni.
Comunque, menzione d’onore per l’arto staccato e raccolto da Andrea, che si corica nel camion insieme ai suddetti corpi putrefatti. Non so, oltre i problemi alle adenoidi, non teme neanche il colera o la peste bubbonica, vera super-girl.
Ma ecco che la figlia del veterinario vuol farla finita, perché la mammina zombie è stata uccisa (più o meno) davanti al fienile e poi le si è rivoltata contro (ho già detto il più o meno?), sono cose che lasciano il segno.
E mentre il veterinario se ne va in paese a rinverdire l’antica amicizia con la bottiglia e Lori tenta di uccidersi con l’incidente d’auto, lo Sceriffo si scopre un duro, spietato e pronto a difendere quel poco che ha, massacrando due viventi, un panzone e uno che sembra uscito da True Blood. Poca ironia, sembra essere, questa, l’unica scena ben fatta, trasmette tensione, anche se era impossibile che le cose andassero diversamente. Ma ci può stare.
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In pratica, il ruolo dello Sceriffo è lo stesso di Sceim, ma… con la parentesi riflessiva. Sceim agisce, spara, fa quello che serve per sopravvivere, ama pure la stessa donna, lo Sceriffo fa lo stesso, ma, come dice lui stesso, ha bisogno di una notte per pensare. In pratica, non dorme, ma pensa. Inutile sottolineare l’ennesima ilarità involontaria. Il bello è che sta diventando una specie di Amleto (o suo padre, il Re), nelle orecchie del quale la compagna versa il veleno della gelosia, mettendolo contro Sceim. La rissa nel parcheggio, ridicola pensando al casino che i due fanno che non attira nemmeno uno degli zombie presenti all’interno dell’edificio lì accanto, è esemplare: i due amici che si picchiano per la stessa ragazza. Perché il primo agisce, più di tutti e meglio di tutti, il secondo agisce con riserva. Inutile insistere, questo telefilm è strutturato secondo la logica del Grande Fratello.
Mettiamo un cast di attori su un set fisso, la casa nella prateria, diamo loro un copione e vediamo le reazioni psicologggiche, così possiamo vantare una profondità che le altre serie non hanno.
E infatti tutti i personaggi o quasi sono tormentati, Glenn più di tutti perché ha scoperto, udite udite, che in una situazione di pericolo ha pensato a salvare la sua pellaccia piuttosto che quella del veterinario alcolizzato e dello Sceriffo, e per questo non vuole più scopare. D’accordo, chiamatemi uno psicologo perché ho qualche problema a capire questi casi da manuale. D’altronde, uno che se ne va in macchina puntandosi il fucile in faccia da solo, è evidente che non sta bene.
Il nostro Dixon, invece, s’è incazzato perché non è riuscito a salvare la bambina. Bambina che non ha mai cacato in tutte le altre puntate, che nessuno ha mai visto, perché avrà pronunciato quante, due, tre battute? Ma che è diventata la causa scatenante di questa seconda stagione, una follia narrativa di proporzioni bibliche.
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E si procede così, tra un battibecco e una rissa, una rissa e un battibecco, epico quello in cucina tra Lori e Andrea, quando la prima rinfaccia alla seconda di non fare il bucato, ma di abbronzarsi abbracciando un fucile (LOL! con evidente metafora freudiana). E tutti danno addosso all’unico, Sceim, che si dà da fare, primo fra tutti il vecchio moralista, che è sopravvissuto solo per affliggere i superstiti con la filosofia studiata dal Reader’s Digest.
E quindi, direi che, arrivati alla decima puntata, che non so quanto opportunamente si intitola “Scelte”, la realtà è che non esiste uno straccio di filo conduttore, e che solo ora i nostri stanno iniziando a pensare che sì, forse sarebbe il caso, se si riesce a trascorrere qualche notte in pace a riflettere, di uccidere per difendersi (uccidere anche i viventi. Ovvove!) e di procurarsi dei vestiti pesanti per l’inverno che verrà. Sì, miei cari, direi che è proprio il momento. E io sono nello sguardo di Sceim, che si perde nei campi, mentre lo Sceriffo guida lì accanto e gli dice che uccidere non deve essere così semplice. Infatti, meglio pensarci un po’ su.
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