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The Ward, di John Carpenter (2010)

Creato il 31 maggio 2011 da Psichetechne
The Ward, di John Carpenter (2010)
La giovane e bella Kristen viene ricoverata in una clinica psichiatrica dopo essere stata arrestata per aver incendiato una vecchia fattoria. Qui incontra diverse altre ragazze, tutte disturbate e con personalità molto diverse tra loro: Sarah, una chiacchierona che dice di sapere sempre tutto; Iris, una dolce e talentuosa artista che cerca di farla sentire benvenuta; Emily, una pazza scatenata, ma simpatica; e Zoey, che ha un comportamento infantile ed è attaccatissima al suo pupazzo a forma di coniglietto.
Kristen scopre anche che il fantasma di una misteriosa giovane donna abita i corridoi e le stanze di quel luogo, tormentandone gli ospiti ivi ricoverati.
Ma non è tutto: investigando sul passato del sinistro ospedale,  arriva a credere che nessun paziente lo abbia mai lasciato da vivo.
La domanda fondamentale che ci si pone dopo aver visto "The Ward", è perché un maestro del calibro di John Carpenter debba aver bisogno di buttare nel cesso la propria credibilità artistica, confezionando un'operatta insipida e debolissima come quest'ultimo suo film. E tutta l'energia critica che uno ha a disposizione nel momento in cui si dispone a scrivere una recensione in merito a "The Ward", se ne va completamente convergendo verso la ricerca di una possibile risposta a tale domanda, che tuttavia rimane (almeno per me) irrisolta. Infatti sarei tentato di terminare qui la "recensione", non fosse per il rispetto profondo che nutro nei confronti di chi mi legge, pubblico verso cui ritengo di avere l'obbligo etico di dar conto in modo accurato di ciò che vedo al cinema. Ben due menti sceneggiatrici (M. e S. Rasmussen) producono uno script che è un topolino partorito da una montagnetta: il disvelamento finale, in stile agnizione retorica, con presuntuose intenzioni socio-psichiatriche, è la ciliegina su una molle torta di panna, che fa tuttavia crollare la torta medesima e certo non la abbelisce esteticamente. Tutto il film si fonda infatti su questa agnitio, topos retorico conosciuto fin dai drammi latini, ed utilizzato per sorprendere il pubblico attraverso la "scoperta" della vera identità di un personaggio. Il problema è che alla fine di tutto il girato, questa modalità stilistica, che retrospettivamente dovrebbe arricchire e sorprendere, non dà affatto spessore alla storia, ma al contrario la banalizza e costringe in stereotipi, che qui non specifico per non cadere in spoiler. Il film descrive poi caratterizzazioni dei personaggi, che definire superficiali sarebbe un eufemismo, ma mi fermo qui rispetto a questo spetto critico, solo perchè mi piange il cuore massacrare un grande vecchio come Carpenter. Sarebbe come massacrare un pezzo del mio Sè, della mia storia, e non vedo perchè farlo, perchè non mi ritengo così masochista. Regia, movimenti di macchina nei corridoi bui del "North Bend PsychiatricHospital", montaggio, tutto sembra tagliato sciaguratamente con la scure, un "tant al tòc", come si dice a Milano, cioè senza un briciolo di quella finezza perturbante che eravamo abituati a vedere in certe sequenze del Carpenter di trent'anni fa. Ma forse il problema sta proprio lì, cioè dovremmo abituarci all'idea che i "grandi maestri" non esistono più, e che dobbiamo elaborare il lutto relativo al fatto che un "The Thing" non tornerà, perché il tempo passa, e così come con la deriva dei continenti l'Africa non si congiungerà più all'Europa, allo stesso modo Carpenter (così come Craven o Raimi, per dire) non sono più quelli delle origini, e certamente in un futuro prossimo non torneranno più ad essere quelli che erano. E perchè dovrebbero, poi, mi domando? Mi rendo conto che questa consapevolezza è un colpo basso per il nostro immaginario filmico, ma è anche un antidoto alla cocente delusione che si prova nel guardare questi ultimi colpi in canna di registi che non hanno più niente da dire, proprio in un'epoca storica in cui invece MOLTO ci sarebbe da dire, attraverso il medium cinematografico perturbante. Cioè, per essere più chiaramente esemplificativo: come fa, voglio dire, uno che ha girato "Essi vivono" (1988), oppure "Il seme della follia" (1994), a cucinare un brodino liofilizzato Knorr come questo "The Ward"? Ma, come si vede,  torniamo così alla domanda iniziale, su cui le energie del critico tendono a convergere dopo la visione di una Amber Heard che vaga come un'ubriaca all'interno di uno degli ospedali psichiatrici più improbabili e inutili della storia del cinema horror. Su questa domanda senza risposte, su questo mistero glorioso mi fermo definitivamente rispetto a questa recensione, auspicando un dibattito su questo tema -se interessa- tra coloro che passano di qui e hanno la pazienza di leggermi.  Regia:John Carpenter Sceneggiatura:Michael Rasmussen, Shawn Rasmussen Fotografia:Yaron Orbach Montaggio:Patrick McMahon Musica:John Carpenter, Mark Kilian Interpreti:Amber Heard, Danielle Panabaker, Mamie Gummer, Jared Harris, Mika Boorem, Lyndsy Fonseca, Laura Leigh, Sydney Sweeney, Dan Anderson, Susanna Burney, Sali Sayle Nazione:USA Produzione: FilmNation Entertainment, Premiere Picture, Echo Lake Productions Anno:2010 Durata:88.

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