Visionario, grottesco e surreale è il lavoro di Terry Gilliam, cortometraggio ambientato a Napoli e prodotto dal Pastificio Garofalo. Dopo l’esperienza con Edo Tagliavini (L’alchimia del Gusto), Pappi Corsicato (Questione di Gusti) e Valeria Golino (Armandino e il Madre) – che si è subito aggiudicata il Nastro d’Argento con questo esordio alla regia – Garofalo torna a fare cinema affidandosi stavolta al genio poco rassicurante di Brazil.
Siamo a Napoli, una famiglia americana composta da madre (Cristiana Capotondi), padre (Douglas Dean) e figlio (Nicolas Connolly) passeggia in Via San Gregorio Armeno. Sullo sfondo non possiamo non notare un bidone trasbordante di immondizia, mentre in primo piano vediamo gli sgradevoli genitori che cercano di allontanare il piccolo Nicolas dalla statuetta di Pulcinella da cui è irrimediabilmente attratto. Tra beghe famigliari isteriche e mal recitate, i genitori perdono di vista Nicolas, tornato ad ammirare la sua prediletta figura intagliata. Ad attenderlo c’è il simpatico venditore ambulante dallo sguardo inquietante (Sergio Solli) che legge nelle intenzioni del giovane turista la caparbia accettazione di qualsiasi condizione pur di avere il Pulcinella, anche il furto, e invece di rimproverarlo, lo incoraggia con il suo fare incantatore. L’insopportabile e preoccupata coppia ritrova finalmente il figlio e, dopo ulteriori animate discussioni e rimproveri, raggiungono tutti insieme l’albergo dove il trofeo del capriccioso bambino si trasforma in un detonatore dell’incubo.
Gilliam si lascia sedurre dalla bellezza di una città sfaccettata ed eloquente come Napoli dove gli opposti interagiscono in un’armonica compresenza inimmaginabile altrove. L’amore per la vita e la costante minaccia della morte, l’affabilità e la generosità della gente e la sua naturale furbizia votata alla sopravvivenza, i sorrisi e le stragi di sangue, incarnano la natura doppia di una città difficile da cogliere e verso cui il regista non sempre rivolge uno sguardo scevro di ingenuità. Pulcinella è il personaggio napoletano per eccellenza, il luogo sacro dove si conserva l’essenza di una Napoli che affascina e spaventa, un anti-eroe che racchiude in sé tutte le maschere della napoletanità. Napoli e Pulcinella insieme sono stati un’offerta incandescente per il regista dei Monty Python, e allo stesso tempo una responsabilità pesante da sostenere con costanza e senza mai scivolare nel luogo comune più sciatto.
The Wholly Family riserva pregi e difetti, alterna momenti di geniale comicità a immagini poco convincenti e deboli. In qualche trovata scenica rivediamo l’irriverenza intelligente e irresistibile del conturbante Gilliam, nell’uso dei luoghi (via San Gregorio Armeno, piazza Cardinale Sisto Riario, le architetture vanvitelliane, l’ospedale delle bambole) un interessante senso dell’osservazione e una giusta sensibilità empatica, nella caratterizzazione di alcuni personaggi (Nico Cirasola - riparatore di bambole – e Sergio Solli – venditore di statuette) la capacità di ritrarne lo spirito anche solo con il potente contributo dello sguardo. Deludono i ritratti (e le scialbe interpretazioni) della Capotondi – esasperatamente nevrotica – e di Dean – inutilmente mellifluo – ma soprattutto la poca convinzione registica nell’esasperazione più che giustificata, anzi necessaria, dello spirito partenopeo. Al finale decisamente spiazzante e per niente conciliatorio Gilliam affida tutta la sua verve grottesca e derisoria, conquistando il benestare di un pubblico esigente e a tratti lasciato insoddisfatto.
Attorniato da un cast tecnico perfettamente bilanciato (Daniele Sepe alle musiche, Gabriella Pescucci ai costumi e Nicola Pecorini alla fotografia) l’amato Terry riesce in qualche modo a superare le claudicanti tappe dello strano percorso onirico di Nicolas (che sembra tradire il potere calamitoso esercitato da Pulcinella sullo stesso regista) trascinandoci in una tremenda e attesa dimensione.
Francesca Vantaggiato