The Wolf Of Wall Street

Creato il 31 gennaio 2014 da Carusopascoski


Se in anni così notoriamente turbolenti per i mercati a Piazza Affari oltre 400 tra trader, banchieri e giornalisti e avvocati d’affari hanno potuto vedere in loco la prima del nuovo film di Martin Scorsese, vuol dire che da The Wolf of Wall Street ci si aspettava qualcosa di epico, il ritratto definitivo di Wall Street. Mentre diverse figure professionali si sono poi affannate nel rimarcare le differenze pratiche tra l’operare quotidianamente in borsa e la caccia all’oro fraudolenta e irriverente di Jordan Belfort, è essenziale ribadire un concetto che invero emerge piuttosto visibilmente nel film: non siamo davanti alla simulazione esatta di come funziona una holding finanziaria, ma alla rappresentazione cinematografica di una storia particolare capace di testimoniare tutti gli altri spasmi irriflessi e e le pulsioni distoniche che animano il contesto in cui prendono vita. E infine, non siamo neppure davanti a dei soggetti, ma a dei corpi tossici, non meno delle penny stock che liquidano a destra e a manca, ridotti a una bestialità in giacca, cravatta e status che poggia su qualsiasi discontrollo emergente. Sesso, droga, violenza: tutto è gratuito, tutto è connaturato a un sistema che gira a ritmi insostenibilmente veloci, anestetizzati e inesauribili, poiché del tutto scollegata a qualsiasi elemento naturale.

Quello che da più parti è stato etichettato come la trasposizione di Casinò e Quei Bravi Ragazzi sul piano della finanza d’assalto, al passo dei tempi e delle droghe subentrate nel tempo intercorso tra un film e l’altro, si basa tuttavia su un soggetto ben più politicamente scorretto: è l’indimenticabile cameo di Matthew McConaughey a fornire la chiave di lettura di quello spirito del tempo senza giudizio nato negli anni ’80 e sotto cui oggi crescono e cadono artificialmente intere nazioni e continenti, così come è artificiale lo stato di annichilimento freneticamente edonistico di quel grande gioco d’azzardo che costituiscono i mercati finanziari, sempre più disumanizzati e fuori controllo, in mano come sono a computer, bit-coin e qualsiasi strumento automatizzato, ed inclusi entro una logica in cui nessuno può prevedere l’andamento di alcun titolo, tutto ciò che conta è incrementare le giocate sull’enorme tavolo verde della finanza mondiale. Non ha nessuna importanza se il primo giorno sul campo del protagonista coincide col Lunedì Nero del 1987, se la retorica del tuo paese di appartenenza si regge sull’illusione di poter concedere a tutti l’opportunità di diventare milionari, a scapito di qualsiasi limite auto-imposto a se stessi da e al sistema. E non ha nessuna importanza nessuna contingenza strettamente privata, rappresentata nel film per deriva decorativa efficacemente barocca. Ciò che è certo però è che ora in poi tutti guarderanno al broker di Wall Street con rendite milionarie attraverso la figura di Jordan Belfort, e non c’è modo più efficace nel valutare un’opera artistica che questo: se crea un simbolo imperituro nell’immaginario collettivo, è un capolavoro. Lo è, in tre ore di scioccante e conturbante rivelazione sul peccato che sta sconvolgendo un’epoca: l’avidità.

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